![]() Prima ondata All'inizio di marzo 2020 un'atmosfera insolita quanto spettrale avvolgeva le strade di Milano. Esiste un silenzio che imprime senso di quiete come può essere quello notturno, uno cupo, rispettoso, come durante certe cerimonie funebri o celebrative e così altri a seconda dei contesti. Quello di inizio lockdown era un silenzio di paura e incredulità per una situazione senza precedenti, normalmente associata a luoghi lontani e condizioni di vita diverse dalla nostra. Per reagire allo stato di allarme e all'obbligo di stare a casa si organizzavano concerti alle finestre e sui balconi, tra musiche registrate e strumenti dal vivo, in un alternarsi di silenzi tombali, melodie sovrapposte e segnali ansiogeni. Questi ultimi, al di là che siano necessari come la sirena di un'autoambulanza, o inutili come un clacson che suona a sproposito, catturano l'attenzione attraverso un impatto allertante. Il livellamento dell'ambiente acustico è l'equilibrio che si viene a creare quando certi suoni diventano distinguibili grazie alla diminuzione di un rumore sovrastante. Al rumore che attualmente sovrasta le città italiane contribuiscono in larga parte le attività di consumo, tempo libero, intrattenimento, che hanno come presupposto l'assembramento, il raduno di folle spontanee e altre situazioni che sfuggono al contenimento acustico. Ai tradizionali assembramenti della sera e della notte si sono aggiunti quelli pomeridiani degli aperitivi e attività del dopo lavoro tra concentrazioni umane e di veicoli in fase di manovra. È normale che il Covid, come virus che si trasmette attraverso i contatti, abbia ridotto complessivamente il rumore della socializzazione. Alcuni descrivevano la Milano di inizio lockdown come una città acusticamente pulita. E infatti, in strade quasi deserte si sentivano il vociare, il camminare, la pedalata e altri impatti che prima non emergevano. Ma il silenzio dettato dal terrore è uno stato temporaneo e non il risultato di un naturale livellamento del paesaggio sonoro attraverso la maturazione di una coscienza condivisa. Tra la prima e la seconda ondata Con l'uscita dalla prima ondata a giugno 2020 si assiste a un ridimensionamento generale del paesaggio urbano acustico. In una ormai consolidata realtà che affligge il mondo intero ancora non si parla di vaccini e diminuisce la fiducia nei confronti dei provvedimenti restrittivi. Viene meno anche il senso di novità e con esso i concerti alle finestre, i tricolori e gli striscioni con messaggi di incoraggiamento. Le vie si rianimano di pedoni, ciclisti, monopattinisti ma anche di persone ferme all'uscita delle scuole, davanti ai fast food: si tratta di assembramenti secondari, ugualmente pericolosi per il contagio, meno rumorosi rispetto alla movida, più disinvolti rispetto ai raduni clandestini in anfratti e giardini del primo lockdown. Il periodo tra le due ondate, nonostante lo shock dei mesi che lo hanno preceduto e la preoccupazione per quelli a seguire, si presenta più leggero anche per la comparsa di nuove aree per i cittadini: l'assenza di attività commerciali se non indispensabili "ripulisce" il centro di Milano da capannoni e strutture mobili espositive. Al loro posto vengono disposte panchine e aiuole che le separano. Altre aree attigue a bar e ristoranti vengono arredate con tavolini e sedie per permettere il distanziamento tra i clienti. La città si “ingentilisce” e la parvenza è quella di un ritorno all'Italia dei Caffè in cui ci si incontra e si conversa. Il livellamento del paesaggio sonoro è in questo periodo al culmine, considerando anche che si è in estate e il clima asciutto rende l'ambiente acustico più percepibile in ogni suo particolare. L'assenza di colonne sonore che fuoriescono da bar e negozi fa riemergere i calpestii, lo spostamento di semplici oggetti e tutti quegli impatti col tempo sommersi dalla massa sonora sovrastante. Il rumore della socializzazione rimane contenuto perché il distanziamento umano continua ad essere alla base della prevenzione. Al livellamento ambientale acustico di una Milano più umana contribuisce la diminuzione di veicoli in circolazione. Gli urti e i segnali da guida nervosa, come già durante la prima ondata, spiccano su uno sfondo acustico più tenue. Ciò a parte, sembrerebbe che lo stato di pandemia stia creando una nuova coscienza del rumore anche per via delle mascherine che impongono di parlare più forte per farsi ascoltare. Non a caso, sempre in questo periodo sorgono nuovi spazi di coworking, locali con sale di conversazione e altri che scelgono di distinguersi per l'assenza di colonne sonore assordanti. Lo stesso accade nei negozi e supermercati in cui si è scelto di limitare l'uso della radio interna per evitare rallentamenti alle casse mentre fuori c'è la coda per entrare pochi alla volta. Seconda ondata Nel settembre 2020 la messa in atto di nuove misure restrittive, a seguito di una nuova ondata di contagi, pone definitivamente fine all'aspetto scenografico del primo lockdown mentre un malcontento diffuso inizia esso stesso ad esibirsi, con manifestazioni di protesta da parte delle categorie più penalizzate (imprenditori, esercenti, artisti). Il rumore della socializzazione si mantiene moderato perché dopo le 19 le attività sono chiuse. Dunque il livellamento acustico permane ma aumenta un rumore dell'incoscienza: se durante la prima ondata i cittadini restavano a casa diligentemente, ora sembrano essersi assuefatti alla situazione pur nella sua gravità. Fuori c'è il via vai di pedoni, ciclisti e veicoli elettrici. Gli automobilisti, insofferenti verso questa nuova mobilità disinvolta e imprevedibile, contribuiscono a rendere le strade acusticamente animate oltre che pericolose. La disobbedienza si esprime anche attraverso movide non autorizzate e feste sui tetti: diversamente dagli assembramenti secondari all'uscita di altri luoghi qui si tratta di raduni organizzati, acusticamente invasivi, secondo un messaggio di spavalderia e fatalismo. Tuttavia, accanto a queste realtà se ne sono create altre più responsabili: nei cortili dove il vicinato si riunisce portando ognuno la propria sedia, nelle aree cani che in questi mesi sono diventate dei punti di riferimento (non soltanto per chi ha il cane). Diverse sono le forme di aggregazione spontanea che hanno preso vita nel corso del 2020 e che continuano, in uno sfondo acusticamente pulito, nel rispetto del distanziamento anti contagio, secondo una socialità di quartiere che nella metropoli da tempo si andava perdendo. Post Covid In generale il paesaggio sonoro, tra inizio marzo 2020 e 2021, ha subito dei cambiamenti con la diminuzione dei rumori della socializzazione. Ancora non si può ancora dire se ciò sia la conseguenza delle restrizioni imposte ai luoghi del commercio e della mondanità o se nel frattempo sia realmente maturata una consapevolezza per cui, una volta finalmente usciti dalla pandemia, si preferiranno ambienti più silenziosi. Certi assembramenti secondari rappresenterebbero un “modello” di raduno discreto forse perché, date le circostanze, si cerca di non attirare l'attenzione dimostrando, seppure nell'incoscienza, che si può stare in gruppo senza creare disagio ad altri. I presupposti per una ripresa della socialità attraverso la comunicazione dal vivo, in uno sfondo sonoro che lo consenta, ci sono, col desiderio di partecipare ad eventi e concerti nelle sale e nei teatri dopo che la cultura è rimasta a lungo segregata, di riprendere a parlarsi dentro bar e ristoranti dopo tanto isolamento e usufruire degli spazi aperti senza l'allerta di segnali non necessari: quelli da guida aggressiva sussistono nonostante il minor numero di veicoli circolazione perchè gli impatti di brusche accelerazioni dipendono da strade più vuote e non da assembramento come per gli schiamazzi durante movide, eventi sportivi, ludici. La non necessarietà è alla base di gran parte del disagio urbano acustico e del resto gli effetti della socializzazione sono quasi tutti inutili: se il rumore di persone e veicoli in circolazione è inevitabile, non altrettanto lo è quello reso dalla scorrettezza dei comportamenti in strada o dalla sonorizzazione selvaggia degli ambienti (a parte le discoteche o altri luoghi deputati). Indubbiamente il 2020 ha imposto una riflessione generalizzata anche sul paesaggio sonoro spogliato di tanta ridondanza, reso percepibile in ogni suo aspetto di suono singolo, isolato dallo sfondo sovrastante. L'uscita dalla pandemia potrebbe segnare, oltre un ritorno alla vita, un miglioramento della sua stessa qualità. In fase 1 e 2 lo scarto tra rumore della socializzazione in netta diminuzione e suoni singoli che riaffiorano è maggiore: l'esatto contrario della fase 0 in cui i rumori della socializzazione sono al massimo e i suoni singoli completamente sommersi, in un ambiente acustico di marcato dislivello. In fase 3 questo scarto è minore con i rumori della socializzazione che aumentano leggermente una volta passato l'effetto paura e col clima estivo che rende i suoni singoli più distinguibili. La fase 4 è quella di un livellamento acustico auspicabile: con un riaumento inevitabile dei rumori della socializzazione peraltro in diminuzione rispetto a prima del 2020 grazie a una maggiore coscienza del disagio acustico maturata durante il Covid. (A) Rumori della socializzazione tipici delle attività extra lavorative e commerciali: musiche diffuse e impatti ansiogeni non necessari (veicoli in fase di manovra, urla e schiamazzi durante le movide ecc.). (B) Suoni singoli: distinguibili quali suoni isolati (ad esempio le voci e il passo dell'uomo). (C) Livellamento ambientale acustico: grado di rapporto tra rumori della socializzazione in diminuzione e suoni singoli che riaffiorano attraverso una relazione inversa tra i due fattori. Testi di riferimento ADORNO, Theodor, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino 1971. ARENDT, Hannah, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1994. ATTALI, Jacques, Rumori. Saggio sull'economia politica della musica, Mazzotta, Milano 1978. AUGÈ, Marc, Non luoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano 1993. Id, La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction, Eleuthera, Milano 1998. BAUMAN, Zygmunt, Fiducia e paura nella città, Mondadori, Milano 2004. Id, Modernità liquida, Laterza, Bari, Roma 2002. Id, La società individualizzata, Il Mulino, Bologna 2001. CAMPOLONGO, Giorgio, Il rumore del vicinato nelle controversie giudiziarie, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2012. COLIMBERTI, Antonello (a cura di), Ecologia della musica. Saggi sul paesaggio sonoro, Donzelli, Roma 2004. FOUCAULT, Michel, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano 2001. GOFFMAN, Erving, Il comportamento in pubblico. L'interazione sociale nei luoghi di riunione, Einaudi, Torino 1971, - Modelli d’interazione, Il Mulino, Bologna 1971. JACOBS, Jane, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Einaudi, Torino 1969. MARIÈTAN, Pierre, L’environnement sonore. Approche sensible, concepts, modes de représentation, Champ Social Èditions, Parigi 2005. SACHS, Oliver, Musicofilia, Adelfi, Milano 2008. SCHAFER, Murray, Il paesaggio sonoro. Un libro di storia, di musica, di ecologia, Ricordi e Lim, Lucca 1985. SIM, Stuart, Manifesto per il silenzio, Feltrinelli, Milano 2008. SIMMEL, Georg, La moda, Editori Riuniti, Roma 1985. Id, Sociologia, Edizioni di Comunità, Milano 1989. Id, La metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma 1995. VIRILIO, Paul, La macchina che vede. L'automazione della percezione, Sugarco, Milano 1989. ZAMBRINI, Silvia, La città in concerto, Eterofonia e conflitto nella metropoli contemporanea, Auditorium Edizioni, Milano 2004. Id, L’erosione del neutro, Viaggio nella dimensione urbana dei sensi, Edizioni Goliardiche, Trieste 2006. Id, La nuova sordità, Riflessione attorno ai sintomi di una società distratta, Edizioni Goliardiche, Trieste 2009. Id, La misura della qualità di vita nei luoghi e nell'ambiente, Metodologia e criteri di valutazione, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2012.
0 Commenti
![]() Specie negli ultimi anni, problemi tra gli altri legati alla sanità e inquinamento, hanno posto diversi interrogativi su quella definita tra le regioni italiane più ricche e meglio gestite. L'appuntamento con le elezioni regionali del 12 febbraio 2023 vede presentarsi in un'unica coalizione il movimento 5 stelle e il partito democratico. Chiediamo a Pierluigi Riccitelli, esponente candidato per il M5S quali sono i principali punti del programma, in particolare per quanto riguarda ambiente e viabilità. “Uno dei cinque punti che hanno portato a un accordo per il sostegno a Majorino candidato presidente è proprio la questione ambientale, argomento da sempre di grande rilevanza per il M5S. La Lombardia è infatti la regione più inquinata d’Europa e le politiche di questi anni non hanno mai puntato a un miglioramento ambientale. Un esempio, la Regione in questi anni ha investito molto in infrastrutture viabilistiche dimenticando il trasporto pubblico. Questa è una strategia perdente dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico e del consumo di suolo. Basti pensare che il traffico incide per il 78% sulle emissioni annuali di Pm10 solo nella provincia di Milano e tocca quota 83% nel capoluogo lombardo dove si stima circolino oltre un milione di veicoli fra auto, mezzi commerciali, autobus e moto (fonte ARPA).” La riqualificazione e potenziamento della rete di trasporto locale è un punto che avete in comune con Majorino il quale, alle grandi opere come la Pedemontana, antepone le infrastrutture viabilistiche e il trasporto pubblico considerando il disagio che ogni giorno subiscono i pendolari. La Lombardia si compone di una fitta rete di comuni abitati così come di ampie aree dismesse che vanno bonificate, immobili abbandonati che vanno recuperati. Che cosa propone M5S per la riqualificazione di queste aree? “Sul consumo di suolo il M5S punta a una legge regionale che impone il consumo di suolo zero. Questo in parole povere vuol dire incentivare il recupero di aree degradate e già urbanizzate. Una delle modifiche che proponiamo è riscrivere la Legge 12 del 2005 e le sue modifiche/integrazioni (Legge per il governo del territorio). Vogliamo mettere al centro il ruolo della pianificazione territoriale in un’ottica di area vasta, tenendo conto delle differenze dei nostri territori e applicare un vero contrasto al consumo di suolo. Ad oggi si tratta di una legge di quasi vent’anni che si limita, di fatto, a introdurre sconti fino al 60% sugli oneri di urbanizzazione e premi volumetrici del 20% per chi recupera immobili abbandonati, senza tracciare nemmeno un’idea di trasformazione ragionata e omogenea del dismesso e del costruito, delle funzioni da recuperare e del ruolo dell’intervento pubblico. La legge sembra non considerare che in Lombardia ci sono più di 3000 aree dismesse e più di 900 siti da bonificare; non discrimina tra aree di pregio e aree degradate. Finanzia limitati lavori di demolizione senza prevedere un solo euro per le bonifiche: di conseguenza si preferisce investire sulla demolizione degli edifici e non sul recupero delle aree.” Un problema ancora irrisolto è quello dello smaltimento di rifiuti che, in una regione a forte densità di popolazione come la Lombardia, necessita di provvedimenti adeguati. Come vi proponete in merito a inceneritori o termovalorizzatori? “L’aspetto più preoccupante degli inceneritori riguarda la salute dato che in passato il loro uso causava la produzione di metalli pesanti, diossine e altre sostanze cui è stato ricondotto un aumento del rischio di sviluppare alcune forme di tumore allo stomaco, colon, fegato e polmoni. Gli impianti di più recente costruzione, tuttavia, sono diversi da quelli novecenteschi e devono rispettare standard molto più rigidi sulla diffusione di inquinanti: grazie a queste migliorie le cose sono molto cambiate. La Regione dovrà prevedere ed accompagnare la riconversione degli impianti con metodologie innovative per trattamenti che garantiscano una migliore e diversa gestione del rifiuto ed un minore impatto ambientale.” I politici negli ultimi anni si sono in parte attivati per incentivare l'efficientamento energetico degli edifici, per contenere il traffico, i rumori ecc. L'auspicio per i candidati, una volta eletti, è riuscire a realizzare questi obiettivi allocando finanziamenti nella Lombardia considerata esemplare per come le risorse non vengono sprecate. Intanto è già un primo passo che certi programmi elettorali puntino a un miglioramento ambientale nelle aree ancora fortemente inquinate. ![]() "Ricordo al Sindaco che a Milano la gente vorrebbe anche lavorare". Questo tra i più risonanti commenti in seguito alla proposta di istituire Zona 30 a Milano dal 2024. Dunque la velocità per il mezzo a motore come sinonimo di economia del tempo, sempre e ovunque. Ma le brevi vie del centro, anche se sgombre, costringono il veicolo a rallentare non appena acquisita la velocità. I tempi di rallentamento per il veicolo aumentano con l'aumentare della velocità; quelli di reazione per il conducente (indipendentemente dall'attenzione) hanno una loro durata fisiologica, durante la quale il veicolo veloce percorre più strada: per il pedone che attraversa, per il ciclista che svolta, significa non essere sicuri che il veicolo rallenterà per tempo. In questo senso la velocità non limitata, quand'anche non crea incidenti, impone incertezza, imprevedibilità: un disagio che si riflette specialmente sull'utenza più esposta, meno ascoltata perché certi impatti uditivi come la presenza di un pedone o di un ciclista, sono andati sommersi dai rumori della strada e suoni delle tecnologie. Il traffico dell'imprevedibilità, ossia della paura, domina attualmente il transito. Chi abituato a muoversi senza motore se ne accorge! E non è un traffico che aiuta chi ha fretta perché continue accelerazioni e frenate impongono energia e impiego di tempo rispetto a un andamento lineare, in cui la velocità si distribuisce in base allo spazio. Certo non mancano i motivi per contestare la zona 30 in una città come Milano. Ad esempio, come controllare chi non rispetta i limiti dal momento che i vigili in strada sono sempre meno e le telecamere non potrebbero coprire l'intero territorio? Servirebbe a intimidire l'esibizionista che accelera con impeto e che sgomma con la sua macchina sportiva? Inoltre un provvedimento come questo dovrebbe essere compensato da una rete efficiente di mezzi di trasporto pubblico, piste ciclabili adeguate; dal coinvolgimento di quell'utenza altrettanto responsabile di sinistri (pur essendone la principale vittima) come ciclisti e mono-pattinatori che transitano contromano, sui marciapiedi, che attraversano col rosso ecc. Magari imponendo loro una targa che li identifica. Quanto però a un possibile aumento di distrazione al cellulare, come conseguenza al limite di velocità imposto, non si considera che mandare messaggi e parlare con il dispositivo in mano mentre si guida è già vietato. Questi effetti collaterali, come anche lo stato di ansia da parte di automobilisti insofferenti ai nuovi limiti, sono da attribuirsi a mentalità vigenti che forse, proprio grazie al provvedimento, potrebbero modificarsi: è curioso come automobilisti e camionisti si innervosiscano durante l'attraversamento di ciclisti o comitive di pedoni nonostante ogni giorno attendano pazientemente durante i continui rallentamenti a catena. Tali aspetti di psicologia del traffico confermano la relatività del concetto di velocità per cui, essere agili significa penetrare il traffico che non fluisce sfruttando la dimensione del mezzo prima della potenza, secondo un dato di fatto che ancora fatica ad essere accettato in contesti sociali come quello italiano. Un aspetto positivo di zona 30, al di là degli esiti, è l'imparzialità nei confronti di automobilisti e camionisti senza distinzioni di categoria (giovani, anziani ecc.). La velocità alla guida di un mezzo potente non perdona l'imprevisto, la distrazione che, come confermato dai dati Istat, è causata in buona parte da un uso improprio delle tecnologie. Imporla al minimo farebbe diminuire gli incidenti gravi perché i tempi più corti di rallentamento comportano, se non altro, un impatto d'urto meno violento. Certo è difficile pensare a una città in cui gli automezzi passano in minoranza, scavalcati da veicoli più piccoli, meno inquinanti, meno veloci. Eppure è quello che succede dove una mentalità di traffico più prevedibile, anche attraverso un tetto massimo della velocità già esiste, come in Austria, in Giappone. E non si tratta certo di Paesi lenti in termini di economia e progresso. Milano ha una pianta medioevale ma ha anche dei viali di grande scorrimento nelle zone più periferiche; per questo si pensa a forme di limitazione flessibili a seconda delle diverse aree urbane. Del resto la tendenza delle città in genere va verso una mobilità leggera. Anche lì dove le regole per i mezzi a motore non sono così rigide da disincentivarne l'utilizzo.
![]() Tra le parole ultimamente entrate nel linguaggio comune c'è ne è una, o meglio un concetto, che invita a riflettere sul suo stesso significato, ovvero “analfabetismo funzionale”. Spesso inizialmente lo si interpreta come una forma di ignoranza indotta, funzionale a regimi e sistemi egemonici che da sempre se ne servono per mantenere tali i loro sottomessi. In realtà analfabetismo funzionale sta a indicare un grado di istruzione che non serve, che funzionale non è: una base scolastica di semplice lettura, scrittura e far di conto, non sarebbe sufficiente a formulare una domanda di lavoro, a comprendere un articolo di giornale o un documento ufficiale andando oltre il significato di ogni singola parola, secondo una condizione che in Italia includerebbe quasi una persona su tre in età di forza lavoro; che in parte spiegherebbe le cause della disoccupazione attuale1. É un dato inquietante specie se si pensa che nell'opinione comune l'analfabeta funzionale è persona limitata, oggetto di satira sui social media attraverso dialoghi grotteschi tra individui palesemente ottusi. Occorre considerare che quando questo termine è stato coniato da parte di Unesco nel 1984 quale “condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità” non si era ancora nell'era tecnologica della comunicazione: quella che di fatto ha rivoluzionato i confini geografici, nonché generazionali, rendendo soprattutto i giovani autonomi nell'inserirsi in ruoli professionali che prima non c'erano. Ciò indipendentemente dai titoli di studio. Attraverso l'acquisizione autodidattica di un sapere informatico di cui magari l'intellettuale fatica a disporre. Ma a parte la rete, se un'istruzione essenziale dovesse essere così limitante, e preclusiva ai fini lavorativi, come si spiegano i tanti che, nonostante i pochi anni di scuola, sono diventati professionisti operando sul campo come il meccanico, lo chef ecc.? Per non parlare della moltitudine di migranti che arrivano nel paese di destinazione senza conoscere la lingua e con pochi anni di scuola alle spalle ma ugualmente diventano indispensabili per intere famiglie a livello umano, pratico di cura della persona, dilago con i medici, gestione della casa, operazioni in banca ecc. Forse non saranno in grado di scrivere lettere sintatticamente perfette, o di interpretare testi particolari, ma di certo la loro alfabetizzazione è funzionale a ottenere un'occupazione, a frequentare corsi e scuole per aumentare il proprio grado di istruzione non appena trovata un po' di stabilità. Una concezione di illetteratismo legata ai pochi anni di scuola, e per nulla alle carenze dell'attuale sistema scolastico, si smentisce anche con una realtà che risale a molto prima che si parlasse di analfabetismo funzionale. Pensiamo al patrimonio di testimonianza diretta di cui ora si dispone grazie all'infinità di lettere che la gente spediva, riceveva e conservava. In tempi in cui la maggior parte degli autori avevano frequentato pochi anni di scuola (soprattutto le donne). In un italiano ricco, grammaticalmente impeccabile. Forse anche perché in quei pochi anni di scuola la scrittura la si apprendeva come tecnica indispensabile per comunicare con gli altri. A questo punto viene da chiedersi se l'attuale difficoltà a comunicare attraverso la scrittura non sia anche il risultato di una comunicazione digitale inaridita dagli infiniti messaggi: troppi per poter riflettere su ognuno. Se l'incapacità a comprendere un testo nella sua interezza non sia in parte conseguenza di un'interazione compulsiva, irruente nel suo essere tecnologicamente mediata; potenzialmente responsabile di demotivazione ed apatia quale reazione agli stimoli incessanti. Di fatto, e per fortuna, molti più di un italiano su tre affrontano le avversità continue indipendentemente dal proprio background scolastico. Tra questi anche chi è costretto a trovare altrove opportunità professionali adeguate a un percorso di studi completato ai massimi livelli. 1 I dati più attendibili a cui far riferimento sono quelli dell'indagine Piaac – Ocse (2019). Secondo queste statistiche, in Italia, il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Il dato è tra i più alti in Europa, eguagliato dalla Spagna e superato solo da quello della Turchia (47%). ![]() Anche gli echi mediatici all'indomani del discorso del Presidente si soffermano sui giovani quali destinatari di richiamo al buon senso e alla prudenza, tralasciando una categoria più ampia di conducenti altrettanto soggetti a comportamenti da guida distratta per un uso improprio delle tecnologie: ad ogni età, non solo il sabato, non solo di notte. Il Presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno 2022 ha parlato degli incidenti stradali notturni, invitando giustamente i giovani a non mettersi alla guida sotto l'effetto di alcool e stupefacenti. Peccato non abbia fatto nessun accenno alla prima causa di incidenti stradali in Italia, come evidenziato da tutte le statistiche ufficiali, di notte come di giorno, da parte di giovani come di adulti, sia chimicamente alterati che perfettamente sobri: ovvero gli effetti da guida distratta per via delle tecnologie. Ma perché il circuito mediatico non pone la necessaria attenzione su questo aspetto così importante? ![]() Studio, scambio di idee, socializzazione. Negli ultimi giorni questo luogo ha avuto funzione di riparo e recupero del proprio tempo per studenti e docenti dell'Università Cattolica. Di parentesi dal fermento milanese che precede le feste natalizie per chiunque si trovasse in giro. Auguri da Celuc Libri e dalle altre aree neutre acustiche ![]() Che di manutenzione e prevenzione se ne parli a tragedia già avvenuta è un fatto noto e questi termini continuano a non avere sufficiente peso rispetto al loro valore. Sentiamo il parere di chi opera direttamente con la ristrutturazione di edifici dove la gente abita, lavora, studia, trascorre il tempo libero. Incontro con Andrea Madini Moretti, ingegnere e Direttore Tecnico della Società di Ingegneria Engico che si occupa di opere civili e infrastrutturali su tutto il territorio nazionale. “Manca una coscienza sociale dell'importanza di opere per la conservazione e sicurezza che si dividono in due grandi categorie: di manutenzione delle strutture e di prevenzione vera e propria nei confronti delle calamità naturali (frane, alluvioni, terremoti). Per quanto riguarda la prima bisogna capire che un immobile, dall'appartamento all'intero condominio, alla stazione ferroviaria, al palazzo uffici, allo stabilimento produttivo, al centro commerciale, necessita di un piano di intervento periodico per non lasciare andare le cose a un naturale degrado che nel tempo investe la sicurezza come si è già visto in più situazioni”. La sicurezza, quale concetto astratto, non rientra nella mentalità comune al pari di quelle comunemente definite grandi opere (treni super veloci che collegano estremi confini, ponti che uniscono le isole alla terraferma). Le opere preventive si vedono nei risultati attraverso la tragedia che si poteva evitare ed è stata evitata: benefici che valgono il costo in termini di non rischio. “Oggi durante la costruzione di un edificio nuovo, o una galleria, spesso si implementano sistemi di monitoraggio che consentono di tenere sotto controllo alcuni parametri da remoto e in tempo reale costando così molto poco. Ci sono tuttavia situazioni in cui prevenzione vuol dire intervenire per consolidare pendii, mettere in sicurezza intere fette di territorio, per cui bisogna stanziare dei fondi. Spesso però si preferisce pagare i danni dopo che è successa la catastrofe”. La prevenzione include diversi approcci, da quello per impedire il cedimento di una trave a quello per uscire indenni da eventuali scosse di terremoto: una calamità questa spesso trascurata, alla quale, specie in Italia, tutti si è esposti. “Il 95% del patrimonio edilizio italiano è stato costruito prima dell'introduzione delle norme antisismiche e quindi non è idoneo a sopportare le sollecitazioni che possono derivare da un terremoto. Scienziati, fisici, geofisici sono riusciti ad analizzare l'entità del rischio sismico, cioè il livello della sua eccitazione, ma non a prevedere il momento dell’evento sismico. Un giorno sarà possibile fare della prevenzione mirata ma per il momento si possono solo riparare i danni: in Italia ciò avviene da parte dello Stato e in parte con i contributi della Comunità Europea. In ambito comunitario è in corso una discussione molto aspra perché i Paesi nordici (che non hanno rischio sismico) non amano contribuire economicamente ai danni dei Paesi del Sud che sono più esposti, specie tutta la fascia mediterranea dal Portogallo fino alla Turchia compresa Italia (ma questo è un altro problema)”. Spesso si considera il nostro un Paese poco sensibile ai problemi ambientali e alla messa in sicurezza di strutture preesistenti. In realtà una politica di transizione ecologica è in corso già da anni con gli incentivi dello Stato per l'efficientamento energetico e di prevenzione con l'adeguamento sismico degli edifici. “Le iniziative di bonus per il rifacimento energetico permettono ai proprietari di case (in Italia numerosi) di risparmiare sul gas e inquinare di meno ma sono provvedimenti che oscillano col succedersi dei diversi governi. Lo Stato Italiano per favorire la messa in sicurezza sismica dei fabbricati privati ha disposto dal 2017 incentivi fiscali importanti utilizzati da molti proprietari: ci vorranno decenni per mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale ma sul fronte privato la strada è sicuramente quella giusta. Sul fronte pubblico bisogna invece che vengano disposti fondi statali. Fino adesso ne sono stati stanziati parecchi per le scuole di cui il 50% per l'adeguamento sismico e il restante per cose più banali come cambiare i serramenti, sistemare la centrale termica, risolvere i problemi che sorgono di volta in vota. Ma ci sono altri edifici pubblici che devono essere adeguati, prima di tutto quelli strategici, che hanno funzione di protezione civile in caso di terremoto: le caserme, gli ospedali, le autostrade. Molte di queste opere sono iniziate da tempo ma, per l'immensità dell'attività e la scarsità dei fondi a disposizione, procedono con lentezza”. É curioso come per i nuovi edifici ora sia necessario l'adeguamento a ogni norma di sicurezza, risparmio energetico, assenza di barriere architettoniche (o altri impedimenti) quando quasi il totale della popolazione vive e trascorre del tempo in stabili sotto questo aspetto inadeguati. “Le case nuove devono essere antisismiche ma rimane un patrimonio edilizio che di fatto non lo è. Per l'adeguamento energetico attraverso un minore consumo, il movimento per l'efficientamento degli edifici è in corso da almeno trent'anni. L'accelerazione che la Commissione Europea in questo momento vuole imprimere al fenomeno non è compatibile con le risorse generate dall'economia del sistema. Per tanto occorrerebbe un nuovo piano Marshall: un progetto di finanziamenti di lunghissimo periodo da condividersi con tutti i Paesi del mondo (non solo l'Europa)”. Diversamente dalla costruzione di opere mai viste prima, quelle come la pulizia degli argini dei fiumi, il ripristino delle strade e la messa in sicurezza degli edifici non fanno clamore (niente cerimonie con tagli di nastro e discorsi alla presenza dei giornalisti). Ma la giusta consapevolezza avviene anche attraverso l'impegno da parte degli organismi centrali che su queste opere meno appariscenti investono e fanno muovere l'economia al pari delle grandi infrastrutture. Con in aggiunta un valore inestimabile di benessere e certezza ...specie di fronte all'imprevisto. |