In risposta alle domande poste sulle pagine del Corriere della Sera a proposito dell'intervento di Francesco De Gregori che riprende le parole di Nicola Piovani sul disagio da Musica passiva durante la trasmissione televisiva "Splendida cornice" su Rai 3 del 19/12/24: De Gregori critica la musica usata distrattamente, ma i suoi brani negli spot Enel non subiscono lo stesso trattamento? "Sempre e per sempre", "La storia siamo noi". Cfr. ews/francesco-de-gregori-contro-la-musica-nelle-pubblicita-ma-gli-spot-enel Facciamo chiarezza sul concetto di musica passiva che non riguarda i contenuti e un loro utilizzo più o meno commerciale. E' questione di contesti, di situazioni: la musica è passiva quando si ascoltano involontariamente brani e parole registrati. L'ascolto di Francesco De Gregori, o di qualsiasi altro compositore, diventa passivo nel momento in cui viene diffuso in luogo pubblico, aperto al pubblico quale Bar, negozio, ufficio: sia come brano indipendente che come colonna sonora per la pubblicità di un prodotto o di un ente quale l'Enel. Lo stesso ascolto non è passivo in un ambiente privato come casa propria in quanto qui è voluto, consapevole (si è liberi di spegnere televisione, radio ecc.) o in luoghi appositi come sala da concerto, discoteca ecc. Musica passiva è l'ascolto non voluto, involontario, indotto di dischi e programmi radio in un ambiente collettivo non specifico per intrattenimento. Non per nulla il concetto di passività non riguarda le immagini poiché in questo caso si è liberi di non guardare mentre coi suoni si è costretti a sentire: l'orecchio non ha palpebra (T. Adorno).
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Sempre più persone, tra cui noti musicisti, si esprimono pubblicamente con progetti e iniziative per contrastare la musica passiva. FANA prosegue la propria campagna di sensibilizzazione al disagio da ascolto involontario di musica e programmi radio ovunque ci si trova. La colonna sonora delle nostre vite non è solo quella che ci scegliamo, selezionando accuratamente i brani da ascoltare, è anche quella che ci perseguita in metro, mentre andiamo a lavoro, al supermercato, persino in ascensore e in farmacia. Ce lo ricordano Nicola Piovani e Francesco De Gregori in “Splendida Cornice" del 19/12/24 su Rai 3. Ogni Dicembre sembra uguale nel suo clima di grande preparativo ma quest'anno a Milano l'interesse nei confronti di vie animate da negozi sembra minore. Le strade stesse sono meno addobbate: non si ascoltano i suoni di ocarine, organetti e cornamuse che ripetono le stesse nenie. Ci sono anche meno babbi Natale che si arrampicano sugli edifici. Del resto non ha più molto senso attirare l'attenzione di possibili consumatori in giro per la città quando i regali si scelgono su internet e arrivano direttamente nelle case avvolti in carte grezze, per poi essere di nuovo rivestiti, distribuiti. É questo un aspetto nuovo che un po' sorprende: la gente si è accorta che è più comodo ricevere oggetti a domicilio già da quando c'è Amazon ma, intanto, ha perso fascino la merce che si vede esposta. I centri commerciali in parte sostituiscono l'andare per negozi lasciandosi incuriosire dalle vetrine tanto che, a Dicembre, sono particolarmente frequentati ma la spesa in rete ha comunque la meglio. In tutto questo verrebbe da pensare a un impoverimento della tradizione natalizia almeno per quanto riguarda le grandi città: che sono più dispersive, con una composizione di abitanti in continuo mutamento e la presenza di visitatori temporanei. Da quando Milano si è aperta al turismo, nelle serate di Natale e Capodanno molti si trovano di passaggio. Non partecipano a pranzi e riunioni di parenti. Vanno in giro per una città che ancora non si è adeguata a questo nuovo senso delle feste natalizie: meno intimo dal punto di vista famigliare, con più desiderio di spostarsi, camminare, vedere gli altri, vistare musei, monumenti ecc. Del resto il successo che riscontrano i cinema nel pomeriggio del 25 Dicembre, e la presenza di laici alle messe di mezzanotte del '24, dimostrano che, anche a livello locale, con la crisi della famiglia tradizionale, c'è bisogno di uscire dalle case, di frequentare luoghi della collettività. Il Natale non ha perso la sua spinta allo scambio di auguri, all'opportunità di rifarsi vivi con chi non si sente da tempo, all'acquisto di beni non necessari ma sono cambiati i meccanismi, le cornici. Se le città sono diventate meno fastose (con l'istinto consumistico che segue altri canali) non è diminuita l'agitazione lungo strade trafficate da camion che trasportano pacchi, materiali. Ciclisti che consegnano cibo nelle case. Cui si unisce l'ansia di impegni che si devono concludere entro l'anno per imprese, lavoratori autonomi, persone comuni. Dicembre rimane un mese di scadenze, di bilanci economici, personali. Al dilà del Natale e del Capodanno è Dicembre il vero protagonista di tanto dinamismo e anche di tanto stress. In tutto questo, i giorni di festa facilmente si trasformano in vuoti che i turisti vorrebbero colmare attraverso luoghi dove andare, dove poter stare. E i residenti, in preda a sensazioni di tristezza e stimolo al ripensamento (una volta passata l'euforia di pranzi e scambi di doni) attraverso una dimensione meno privata di queste giornate: con meno senso di interruzione attorno a se, di inizio forzato per una nuova fase. Più di naturale congiunzione tra i mesi che precedono e quelli che verranno: più neutra! A seguito di un'ennesima tragedia è doveroso riflettere su ciò che distingue un incidente stradale da un altro. Del perché non si possa sempre parlare di triste casualità. Nel riportare la notizia di una donna travolta da un camion mentre attraversava sulle strisce col semaforo verde, giornali e telegiornali sottolineano che l'autista è un giovane italiano, che non è risultato positivo all'alcol test e che non ha precedenti penali: pochi hanno aggiunto che probabilmente era distratto al telefono. Ciò induce a condividere un'immagine di pirata della strada, o anche solo di automobilista che non rispetta le regole, conforme a certe categorie specifiche di straniero, delinquente, alterato da alcol e droghe. Non di persona che andava di fretta ed era distratta. Il giovane alla guida del camion, arrestato poche ore dopo mentre era al lavoro presso una cava poco distante da Milano, è un uomo come tanti. Che al mattino va a lavorare. Che conduce una vita di impegni, spostamenti, telefonate: un testimone racconta che la donna, vittima dell'incidente, urlava e si sbracciava perché lui la notasse. Ma lui non vedeva, non sentiva. “Ricordo al Sindaco Sala che a Milano la gente vorrebbe anche lavorare". Così il Ministro alle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini commentava pubblicamente la proposta di zona 30. Ma chi pedala per 3 euro a consegna, chi va a piedi a prestare servizio in casa di qualcuno, o presso un ente, non è forse uno che lavora? Anche una frase breve può avere conseguenze pesanti quando rinforza quella mentalità per cui il proprio impegno, il proprio tempo vengono prima di tutto e di tutti. Per cui oltre alla velocità implicitamente si giustificano comportamenti non curanti, di distrazione col telefono in mano se non di isolamento attraverso gli auricolari. Per cui non rallentare agli incroci diventa una prassi (una cosa che colpiva durante la manifestazione a un giorno dall'accaduto è che, nonostante la presenza massiccia di polizia locale, i veicoli arrivavano a velocità elevata e i vigili dovevano agitarsi non poco per segnalare che era in corso un blocco stradale autorizzato) e anche quando si rallenta per svoltare, non si pensa alla presenza di pedoni che lecitamente stanno attraversando sulle strisce. E si va avanti, senza guardare, senza sentire. Una settimana di ritiro della patente e una multa un po' più alta per chi supera i limiti di velocità, come previsto dal nuovo Codice della Strada, non cambia di molto la vita a nessuno. Pena analoga, prevista per chi guida al telefono, riguarda solo chi ha già avuto una decurtazione di punti dalla patente senza contare che, rilevare il fatto a distanza, è pressoché impossibile. Il nuovo codice prevede inoltre tolleranza zero verso chi risulta positivo ai test tossicologici. Già! E per tutte quelle persone sobrie, "per bene", che non rispettano regole, limiti, e addirittura omettono l'immediato soccorso? Forse chi associa lavoro e diritto alla velocità non pensa che, tra chi ogni giorno cammina, o pedala, ci sono anche figli e parenti di chi guida ed è in ritardo. Il concetto di metropoli "intraprendente", "che produce", allude a tante cose tra cui anche la velocità: in senso relativo di fluidità di un traffico che comunque in città è più lento (anche chi per risparmiare tempo non frena agli incroci poco dopo dovrà rallentare), non di diritti ulteriori da parte di chi, attraverso il motore, è già in una posizione di forza. La città appartiene a tutti. FANA, in difesa del rumore causato dal suono tecnologicamente mediato, è sensibile a questa giornata di riflessione e confronto. Se le tecnologie ci offrono grandi aperture, il pensiero critico nei confronti di un uso sfrontato di questi dispositivi deve rimanere allertante. L'intelligenza artificiale, di cui ancora non si conosce il livello di applicazione in un futuro ormai prossimo, comporta pur sempre il rischio di comportamenti sopraffacenti attraverso il monopolio della conoscenza e il moltiplicarsi di stimoli immaginifici/acustici di cui non si conosce esattamente il grado di invasività. I modelli culturali imposti attraverso algoritmi rispecchiano solo alcune categorie propagando un'informazione facilmente difforme dalla vera realtà. Innovazione e sviluppo devono marciare assieme alla tutela dei diritti dell'uomo. Buona giornata da FANA. Il silenzio come dimensione di analisi, riflessione (e non solo assenza di suoni) è costante negli studi di Eugenio Borgna, nel suo intenso percorso di psichiatra, scienziato, scrittore, persona che, quando ancora di certi aspetti della medicina non si parlava, ha reso nota l'importanza del rapporto umano tra medico e paziente spesso privato della sua dignità. Il silenzio, o meglio i silenzi, sono diversi, ognuno esprime qualcosa. Il dialogo equilibrato, l'ascolto di ciò che il malato dice, e dei suoi silenzi, sono fondamentali per comprendere la sindrome depressiva in ogni sua espressione di disagio, isolamento. Per conoscere in profondità il pensiero di Eugenio Borgna e del suo operato durante una vita dedicata a chi soffre vi consiglio questo articolo di Massimo Russo, pubblicato in "Girodivite". Segnali dalle città invisibili. www.girodivite.it/_Massimo-Stefano Russo_.html#google_vignette Eugenio Borgna. Un vegliardo oltre i tempi Come definire Eugenio Borgna? Un luminare sensibile e attento alla cura, alla malattia, alla sofferenza con lo sguardo del saggio, da “grande vecchio”, senza enfasi e retorica alcuna. La lettura e lo studio dei libri di Borgna mi ha accompagnato in questi anni. Il Tempo e la vita l’ho utilizzato come libro di testo nel mio insegnamento di sociologia del tempo libero e ne ho discusso in carcere nel polo didattico della casa circondariale di Fossombrone. Anni fa, nel 2011, ricordo che suscitò qualche venatura polemica il libro scritto con Aldo Bonomi che portava il titolo di Elogio della depressione, un titolo editoriale infelice che ne falsava i contenuti. Si trattava di un dialogo appassionato tra lo psichiatra e il sociologo, “conosciutisi attorno alla malombra”, in un incalzante confronto teorico-empirico rivolto a riconoscere le fragilità del territorio che ricadono sugli individui e arrivano a comprometterne gli elementi vitali e la vita stessa. Borgna ha accolto e raccontato la malattia mentale da osservatore e testimone “partecipante”. L’ultima sua pubblicazione, L’ora che non ha più sorelle porta la data di novembre, un volume illuminante e al passo coi drammi dei tempi, incarnati nel mistero del suicidio, mentre del febbraio di quest’anno è In ascolto del silenzio, da meditare pagina dopo pagina. Borgna nel corso della sua lunga vita, nell’attraversare gran parte del Novecento e con piena lucidità questi primi due decenni del XXI° secolo, ha saputo dare con la sua intensa riflessione un significato differente, su un piano critico-alternativo, al manifestarsi del disagio e della malattia mentale, tali da renderli ancor più visibili e “accettabili”. Nel frequentare professionalmente il disagio e la malattia mentale Borgna ha meditato sulle disposizioni d’animo che inquietano la mente e arrivano a disorientarla; ne ha offerto una narrazione esemplare, capace di usare la parola oltre i meri aspetti descrittivi e rappresentativi, per porre la necessità di difendere i diritti di chi vive una situazione di oppressione esistenziale. Nell’assegnare alla parola un valore primario la riporta al suo essere indicativa, in grado di esporre e richiamare la storia, i ricordi, la memoria, intesi quale essenza della vita, a cui sempre bisogna saper prestare attenzione e cura. Si tratta di porre al centro l’individuo, la persona, in tutto il suo essere umano e Borgna ne associa “l’infinita bellezza” ai legami sociali, alle condivisioni comunitarie che li sorreggono e rafforzano. La poesia, che ha sempre animato e ispirato il pensiero e l’azione di Borgna, ritorna con forza nel suo ultimo testo da pochi giorni edito, un vero e proprio “testamento spirituale” che pone l’attenzione sul mistero del suicidio e invita a riflettere su “l’ultima ora della vita, quando l’ora del vivere diviene l’ora del morire” nell’affermare che: “Ci si avvia alla morte in modi radicalmente diversi, accompagnati dalla nostalgia delle cose sognate e mai raggiunte”. Il richiamo diretto va a Paul Celan e Antonia Pozzi, quest’ultima suicida a ventisei anni. La straordinarietà di Borgna si esprime sul piano culturale nella capacità di una comunicazione pubblica che si traduce nel saper ascoltare e dialogare con domande poste in primo luogo a sé stesso che sanno interrogare e stimolare nuove interrogazioni, coinvolgendo il pubblico dei lettori e degli ascoltatori. Un profilo alto il suo che proprio grazie al dialogo interdisciplinare sa incalzare gli interlocutori. Fragilità, dolore, sofferenza assumono così un senso compiuto da associare alla persona. Borgna nel ridefinire la malattia mentale e le sue legittimità di cura le inquadra in un più ampio contesto di libertà e responsabilità per rivendicare la dignità dell’individuo e così dare senso al vivere la propria vita. Prende corpo una nuova consapevolezza espressa in difesa dei più vulnerabili. Se la capacità di ascolto, attenti alle emozioni, consente di eliminare i pregiudizi si tratta di tenere conto di come la fragilità esponga al pericolo di rimanere feriti e lasci ferite difficili da rimarginare. Per questo il richiamo va all’attenzione, alla delicatezza della cura che devono sempre tener presente tutte quelle fragilità che appartengono a un quotidiano sempre più dominato dall’indifferenza e dall’aggressività, dove ci si ritrova indifesi e resi vulnerabili. Nel significato della condizione umana, espresso nell’ascolto e nella cura, emerge esemplarmente la vita e il vissuto relazionale. Le parole di Borgna, immerse nel divenire e manifestarsi della malattia psichica che fatta di ombre diventa vita insostenibile, rimangono impresse come valore altamente simbolico, nel dare senso alla vita stessa e all’umanità che l’accompagna. Se nella fragilità facilmente ci si smarrisce e si vive una condizione di disorientamento come evitare che l’oscurità dell’anima ottenebri la vita e tra angoscia, disperazione e solitudine arrivi a negarla? Dal pensiero di Borgna, che ha influenzato in modo decisivo e concreto l’evoluzione della psichiatria fenomenologica, si ha molto da imparare. Il compito primario dello psichiatra Eugenio Borgna nel suo lavoro professionale si è materializzato nel desiderio di restituire, in primo luogo ai malati mentali: la capacità di affrontare con sensibilità la vita, nel saper rompere i muri e frantumare le ideologie. Il suo insegnamento nell’accomunare identità e destini si è sempre proposto di dare piena dignità alla vita umana per continuare a richiedere dei diritti, ma soprattutto sciogliere i corpi e le menti da riportare liberamente alla loro intersoggettività. Massimo Russo Per saperne di più A. Bonomi-E. Borgna, Elogio della depressione, Einaudi, Torino 2011. E. Borgna, Il tempo e la vita, Feltrinelli, Milano 2015. Id., In ascolto del silenzio, Einaudi, Torino 2024. Id., L’ora che non ha più sorelle, Einaudi, Torino 2024 Festival della Dignità Umana (30 settembre 2021). Come comunicare? Borgna e Lingiardi dialogano ad Arona: Video Un luogo uguale a tanti poiché si tratta di spazi fisici condivisi per lavorare, spostarsi, ricevere un servizio. Diverso perché lo stesso negozio, o mezzo di trasporto, in assenza di colonne sonore aggiunte diventa acusticamente neutro: non per forza silenzioso ma nemmeno frastornante per via di rumori non necessari. Ma quando un rumore non è necessario? Quando non serve a far funzionare un servizio. Non si può eliminare il rumore di un treno se questo sta andando, di tazze e piattini se il Bar è operativo: si può però evitare di trasmettere musica se il locale non è specifico per il suo ascolto o per ballare. L'intrattenimento sonoro in un negozio, ristorante o su un autobus è superfluo: anche senza musica e canali radio il servizio è attivo, il mezzo di trasporto funziona, quindi il sonoro non giustifica alcun beneficio: per chi non lo gradisce diventa inutilmente fastidioso. L'area neutra acustica quale luogo pubblico, aperto al pubblico, immune da suoni non necessari, ricopre gran parte della superficie terrestre: dove non c'è niente e nessuno non c'è intrattenimento sonoro. Tuttavia, dove si abita e si svolgono delle attività, questa dimensione, libera da musica e informazioni amplificate, è sempre più rara. Di fatto, la diffusione di suoni aggiunti per mano delle tecnologie sonore conquista sempre nuovi spazi, avvalendosi di dispositivi facili, economici: è sufficiente un telefonino per sonorizzare l'intera sala di un ristorante (come quando un cliente usa il vivavoce), una piccola cassa acustica per uno spazio aperto, un cavo elettrico collegato a un'automobile per improvvisare un Rave Party che coinvolgerà interi isolati. Tipico rumore non necessario è dunque quello attuale della socializzazione, ovvero dell'intrattenimento sonoro nei luoghi della quotidianità. Si compone di frasi e canzoni (attualmente motivi Rap) provocando a propria volta un innalzamento del livello vocale medio: lo si descrive come sottofondo ma, in realtà, il suono tecnologicamente mediato prevale sulle voci naturali inducendo a parlare più forte. Si manifesta ovunque ci siano i presupposti commerciali, modani di assembramento, flusso di turisti, di potenziali consumatori. Rispetto ai tradizionali rumori urbani il suo impatto è recente: i microfoni esistevano già a fine '800 ma la grande diffusione di suoni amplificati attraverso radio portatili, mangiadischi e mangianastri, è avvenuta non prima degli anni '60. La liberalizzazione delle emittenti private negli anni '80 ha poi comportato la sonorizzazione di sempre più spazi comuni. Così come ci sono voluti secoli per abituarsi ai rumori del carretto, e successivamente delle macchine, ci vorrà ancora molto tempo perché l'essere umano si adegui al suono amplificato continuo. Il fatto che la gente subisca, o addirittura ne divenga dipendente, non elimina i suoi effetti in termini di distrazione mentale e patologie varie. Così come uno sfondo bianco pone in risalto ogni altro colore (anche se tenue), l'area neutra acustica permette l'ascolto di suoni distinti come il vociare di una scolaresca in gita e tutti quegli impatti più deboli, col tempo dimenticati: la presenza di un ciclista non viene avvertita da un automobilista abituato a intrattenersi con le tecnologie sonore/comunicative (e le conseguenze sono gravi!). Se le tecnologie meccaniche si impegnano a produrre motori via via più silenziosi quelle sonore, al contrario, tendono a realizzare dispositivi sempre più risonanti: il messaggio promozionale deve arrivare a più persone possibili. Questo fa riflettere su quale potrebbe essere il paesaggio sonoro in un futuro non così lontano, con atri e pianerottoli di case trasformati in spazi pubblicitari acquistati dalle emittenti commerciali, in un continuum di annunci di prodotti per la casa, stacchi musicali ecc. Poter selezionare con anticipo i luoghi esenti da suoni non necessari contribuirebbe a prevenire una tale degenerazione: senza costi di transizione ecologica o altro perché crescerebbe spontaneamente una coscienza del disagio da ascolto indesiderato come è accaduto per quello da fumo passivo quando, anni fa, hanno iniziato a distinguersi le aree per non fumatori. Le aree neutre acustiche già esistono. Importante sarebbe poterle riconoscere attraverso un simbolo: ad indicare che lì dentro i rumori sono solo quelli essenziali, inevitabili (senza l'aggiunta di colonne sonore). Nel rispetto di un diritto di scelta tra i più legittimi ed elementari. L'esigenza di area neutra acustica si fa sentire e in questi anni post covid si avverte un ritorno a forme di socialità dettate dal desiderio di comunicare facilmente: come tra persone che si ritrovano dopo tanto tempo e altre situazioni che stonano con l'intrattenimento sonoro forzato. Ma questa tendenza a privilegiare lo spazio neutro, esente da suoni amplificati indotti, non è ancora entrata nella mentalità di gestori, esercenti, responsabili di strutture per i quali assordare il cliente, l'utente, il cittadino è un favore che si fa a lui (...oltre che a se stessi). FANA avanza e lo stimolo a cercare spazi più silenziosi viene dalle singole persone. Indicaci anche tu altri luoghi acusticamente neutri da segnalare in www.fana.one/mappa. Scrivendo a [email protected] Una folla di cittadini era riunita giovedì sera in via Superga a Milano dove un ciclista ha perso la vita a causa del forte impatto con la portiera aperta di una macchina: in una via tranquilla, per nulla trafficata, in un orario in cui la maggior parte della gente è rientrata a casa. L'emozione era forte come ogni volta che ci si ritrova tra ciclisti in occasioni come questa e si vorrebbe fosse l'ultima. Incidenti per distrazione purtroppo accadono ma com'è possibile che certe attenzioni, come quella elementare di guardare prima di aprire una portiera, non si siano automatizzate nel tempo? E viene anche da chiedersi cosa stia succedendo in una città dove una sorta di guerra civile tra automobilisti e ciclisti si intensifica larvatamente. Come spesso in un conflitto tra appartenenti a uno stesso territorio, una delle parti possiede minori strumenti, minori appoggi politici e consenso della pubblica opinione. In questo specifico caso i ciclisti rimangono le prime vittime non fosse altro che per la debolezza e vulnerabilità del proprio mezzo. Chi usa la bici a Milano conosce quei momenti in cui un'auto in doppia fila compie manovre istintive, un'altra non rallenta agli incroci, schizza da un passo carraio, svolta improvvisamente e tutte quelle situazioni in cui si è consapevoli di non essere visti, e tanto meno previsti. Avverte inoltre l'impazienza dell'automobilista, la sua ostilità verso chi ha "la colpa" di essere più agile, di ricavarsi dei passaggi in mezzo al traffico; al punto che personaggi noti del giornalismo e della politica dichiarano impunemente di amare i ciclisti solo quando vengono investiti. Ciò a conferma di un'ostilità socialmente condivisa, grazie alla quale l'automobilista mantiene atteggiamenti negligenti: indietreggiare o aprire la portiera senza prima guardare, pur trattandosi di abitudini consolidate, vengono considerati delle fatalità. Il nuovo Codice della Strada attraverso provvedimenti come quello di ridurre gli autovelox ricalca questa mentalità a favore del mezzo pesante; la stessa per cui le ciclabili diventano parcheggi abusivi; per cui il Comune non interviene per il ripristino di pavimentazioni incompatibili con lo scorrere di ruote sottili. Se a livello di categoria i ciclisti godessero di maggiore “simpatia” già si alleggerirebbe un conflitto che coinvolge anche quegli automobilisti attenti nei loro confronti (per fortuna tanti) ma mentalmente esitanti. Il mio pensiero va a Francesco Caputo, ingegnere di 35 anni che per la sua professione si era trasferito a Milano e, terminato l'orario di lavoro, rientrava a casa pedalando su una bici del Comune. E penso anche agli automobilisti cui, la tacita tolleranza verso atteggiamenti noncuranti, ha reso essi stessi vittime di pesanti rimorsi. Diciamo basta a questa assurda guerra civile. |