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A proposito di Zygmunt Bauman e la sua analisi sull'Olocausto

31/1/2022

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FotoZygmunt Bauman

La sordità di chi non vuol sentire, la cecità di chi preferisce essere ignaro di ciò che non vede o non ha visto, sono alla base di eventi che hanno segnato tragicamente la storia. L' Olocausto, attraverso la modernità di un'organizzazione senza precedenti, ha potuto disporre di infiniti collaboratori fisicamente distanti dall'obbiettivo ultimo, potenzialmente inconsapevoli di esserne parte attiva.
​Il sociologo polacco Zygmunt Bauman in "Modenità e Olocausto" sottolinea la non unicità di un evento che avrebbe riguardato unicamente gli ebrei, in quel contesto, in quel periodo... quindi irripetibile. L'olocausto non è stato una parentesi della modernità, ne è stato il prodotto secondo ciò che, attraverso l'efficienza della tecnica e della burocrazia, rappresenta un'altra faccia del progresso.
​La modernità ha scatenato l'antisemitismo attraverso il rifiuto di un inevitabile livellamento delle differenze preesistenti in una società che tendeva a uniformarsi a livello giuridico, culturale, dove la partecipazione di sempre più ebrei alla vita comune offuscava gradualmente i naturali confini del ghetto. Proprio la minaccia di una non più evidente riconoscibilità degli ebrei fu una delle cause scatenanti dell'antisemitismo moderno. Questo aspetto ricorda per certi versi l'ostilità iniziale verso i cittadini albanesi approdati in Puglia a fine anni '80: fisicamente e nei modi di fare erano come noi, parlavano già l'italiano o lo imparavano velocemente, rendendo tutto più “difficile” per chi sentiva minacciata la propria incolumità.

Il genocidio ha potuto realizzarsi attraverso le stesse componenti di efficienza burocratica e tecnica tipiche della modernità: nel genocidio moderno, sbarazzarsi dell'avversario non è di per sé uno scopo ma il mezzo per raggiungere una società perfetta, come quella di un vivaio progettato ad hoc per cui si è reso necessario l’uso dei diserbanti chimici per eliminare infestanti e parassiti. Bauman utilizza spesso questa metafora per sottolineare il concetto di distruzione legittimata dalla ricostruzione di un nuovo naturale equilibrio. Utilizza anche il termine di ingegneria sociale per definire i criteri di professionalità e competenza con cui molti specialisti, a stretto contatto con le ditte tedesche che fornivano materiali, collaboravano a realizzare i forni crematori e le camere a gas. Numerosi scienziati e studiosi furono incaricati e sovvenzionati da un regime particolarmente disponibile nei confronti della ricerca scientifica: gli esperimenti eugenetici sui deportati costituivano un'industria crudele quanto economicamente proficua. Per tutto questo occorreva una burocrazia gerarchicamente funzionale in ogni suo grado e ogni frammento: da chi organizzava la rete ferroviaria a chi conduceva treni il più possibile carichi di “merce”. Dalla manutenzione delle macchine alla gestione delle risorse sempre secondo la logica di razionalizzare i costi: un sistema moderno rispetto ai genocidi precedenti, capace di avvalersi di mezzi di comunicazione e propaganda come le radio, i telefoni, gli altoparlanti, le cineprese. Unico in quanto risultato di una cooperazione tra settori molto vasti dell'apparato militare, burocratico, oltre che dell'acquiescenza di un popolo che ha accettato di non sapere, di non vedere... non solo in Germania! Il fascismo, pur non godendo delle capacità tecnologiche, ingegneristiche dei tedeschi, né della loro efficienza amministrativa, attraverso le leggi razziali e l'indifferenza della gente comune contribuì al genocidio con le deportazioni a migliaia nei campi di sterminio.
Bauman sottolinea l'abilità dell'organizzazione nazista nel riuscire a neutralizzare la ferocia dei mezzi attraverso lo scollegamento tra le singole mansioni: chi ogni giorno timbrava buste poteva non conoscerne il contenuto. Chi in un laboratorio analizzava la singola sostanza poteva ignorarne i successivi utilizzi. Persino chi, quale ultimo anello della catena, azionava le esalazioni mortali nella camera a gas poteva non sapere poiché l'ingresso gli era negato. Senso del dovere, capacità e competenza, prevalevano sulla coscienza individuale attraverso la routine, la quotidianità; una sorta di “tranquillante morale” attraverso cui si tende a non rispondere di responsabilità indirette valorizzando altri aspetti: oggi chi collabora alla realizzazione di mine antiuomo, pur sapendo cosa sta facendo preferisce pensare che il suo settore non risente dei tempi di crisi.
La distanza dal prodotto finale è stata pilastro dell'Olocausto attraverso quella “cecità morale” di cui si servirono infiniti funzionari, addetti, specialisti, impiegati, cooperanti, che la sera tornavano a casa e abbracciavano i figli. Più grande è l'obbiettivo più persone ci lavorano. Più sofisticati sono i mezzi più distante è il prodotto finale...come trattandosi di “guerre intelligenti” in cui, con poche gesta, si annientano grosse fette di umanità senza dare risalto a particolari sentimenti di ostilità e cattiveria: la pur tragica “notte dei lunghi coltelli”, fu un fallimento per i nazisti: in pochi, se solo si pensa alle dimensioni del genocidio, furono disposti a usare direttamente violenza contro il negoziante, contro il professionista cui ci si rivolgeva abitualmente.
La gente rifiutò l'uso aperto della violenza antiebraica mentre ne approvò la legislazione: da qui l'applicazione di uno sterminio di massa cui si riuscì a far partecipi gli ebrei stessi attraverso la stratificazione sociale interna ai ghetti: i Juden Räte (consigli ebraici) costituivano per i nazisti la prima fonte di reclutamento. Attraverso il ricatto della sopravvivenza la grande organizzazione si avvalse delle sue stesse vittime.
Nuovi regimi a seguito dell'Olocausto, servendosi di una moderna organizzazione, sono riusciti ad annientare in quantità persone ritenute scomode mentre i loro connazionali conducevano una vita normale. Attraverso gli attuali sistemi bellici i civili continuano a morire solo per il fatto di trovarsi sul luogo. La modernità non è solo progresso e benessere. L'analisi di Bauman rimane esplicativa e anche allertante in una società che, giustamente, tende alla continua modernizzazione.

​Silvia Zambrini 


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