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La musica tra luoghi comuni e realtà storica

26/1/2021

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L'entusiasmo per la musica, specie da parte di chi ci si dedica con passione, è coinvolgente. Ma anche in questo caso, diversi utilizzi di un'unica cosa mostrano aspetti che sfuggono al candore dei luoghi comuni.

“Se ci fosse più musica ci sarebbero meno guerre, meno conflitti...”
“Tra tutte le arti la musica è l'unica che, a proprio discapito, è riuscita ad adattarsi all'organizzazione dei campi di sterminio, alla fame, all'indigenza, al lavoro, al dolore, all'umiliazione e alla morte.” - Pascal Quignard, in L'odio della musica, EDT, Torino 2015.
Le altre arti non godono dell'immediatezza del suono. I regimi totalitari del '900 poterono avvalersi dell'amplificatore quale autorevole mezzo di comunicazione. Nei campi di sterminio orchestre e cori di detenuti accompagnavano le adunate, l'ingresso dei nuovi deportati nonché le loro esecuzioni a morte. Ma il vero martellamento acustico, cui non potersi sottrarre in alcun modo, veniva dagli altoparlanti che riproducevano incessantemente canti patriottici, marce militari, discorsi del Führer via radio. Suoni e musiche, dal vivo e registrati, si univano a uno sfondo quotidiano di insulti, grida e fischi di richiamo da parte di sorveglianti e Kapò.

“La musica rende liberi”
Il ritmo delle marce, dei cerimoniali durante le adunate e altri rituali fini a sé stessi, serviva a rendere la vita dei prigionieri ancora più dura e umiliante. I lager ridondavano di musica e ritmi animati.
“Dopo l’appello del mattino [...] dovevamo correre alla nostra baracca, prendere i nostri strumenti ed avviarci velocemente sul podio situato davanti all’uscita principale del campo. Appena risuonava il colpo di fischietto, l’orchestra, sotto la bacchetta del direttore, si metteva a suonare mentre la sfilata dei prigionieri schiavi cominciava. […] Guai a chi non marciava a passo militare! E noi dovevamo continuare a suonare senza mai fermarci.” - Jacques Stroumsa, violinista ad Auschwitz, in The Auschwitz Poems, pubblicato dal Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, 1999.
Canti tedeschi dovevano essere ripetuti fino allo sfinimento durante i lavori forzati. Servivano anche a impedire che i detenuti comunicassero tra loro. Chi non sapeva le parole veniva picchiato, anche chi cantava troppo piano, o troppo forte. I compositori più volte hanno dovuto scrivere musica che denigrasse la loro origine come Judenlied (canto dell'ebreo, scritto a Buchenwald), che narra come gli ebrei avessero ingannato e mentito per denaro.

“La musica non può mai dare fastidio”
Simon Laks, violinista e direttore d'orchestra nel campo di Auschwitz, racconta di un concerto nel reparto femminile dell'ospedale, con le ricoverate che, a pochi minuti dall'inizio, esortavano disperatamente gli strumentisti ad andarsene.
“Non mancano pubblicazioni che dichiarano, non senza una certa enfasi, che la musica confortava i prigionieri e dava loro la forza di resistere. Altri affermano che quella musica produceva l'effetto contrario: demoralizzava gli sventurati e ne precipitava la fine. Quanto a me, condivido questa ultima opinione.” - Simon Laks, in Pascal Quignard, op. cit.
Si da per scontato che l'intrattenimento sonoro debba sempre e comunque far piacere. Attualmente in diversi ospedali e ambulatori vengono trasmesse musiche e programmi radio attraverso diffusori acustici nelle corsie e sale d'aspetto.

“La musica riesce a toccare il cuore di ognuno”
“Possono gli uomini che sono in grado di piangere ascoltando la musica essere in grado di commettere così tanta crudeltà verso il resto dell'umanità?” - Simon Laks, id.
Ad Auschwitz-Birkenau un'orchestra di donne, diretta da Alma Rosè Mahler nipote del compositore Gustav Mahler, svolgeva concerti per i tedeschi. Nel pubblico c'era chi ascoltava fino a commuoversi, altri erano lì più per vedere che per ascoltare, senza nascondere espressioni di disprezzo. Tra chi ascoltava con attenzione c'era Josef Mengele, il medico di Auschwitz soprannominato "L'angelo della morte" per i suoi esperimenti sui bambini, che più volte chiese personalmente gli fosse eseguito “Sogno”, tratto dalla raccolta “Scene infantili” di Robert Schumann: un brano pianistico di particolare intensità e dolcezza, utilizzato anche come melodia da carillon per far addormentare i più piccoli...

“La musica aiuta a dimenticare”
“Per i musicisti hanno sistemato delle panche nell'area dei crematori. Non ci sono leggii. Dobbiamo suonare a memoria. Suoneremo per persone che presto verranno bruciate. Ma da chi? Forse proprio da noi? É un mistero...” - Simon Laks, id.

“Nel Lager la musica trascinava verso il fondo. [...] Era la musica ad accompagnare l’ingresso di quei corpi nudi nelle camere a gas.” - Primo Levi, in Pascal Quignard, op. cit.

Diversi musicisti sopravvissuti al lager furono in seguito ossessionati dal senso di colpa per aver dovuto suonare o dirigere mentre la gente veniva spinta nelle camere a gas; o per aver dovuto scrivere quelle colonne sonore. Le sofferenze psichiche li costrinsero ad abbandonare la musica per sempre. Altri (non solo musicisti) non la vollero mai più ascoltare.

“La musica riesce a nascondere il dolore”
Presentato dalla propaganda come esempio di insediamento ebraico, in realtà luogo di smistamento principalmente verso Auschwitz e Treblinka, il campo di Theresienstadt era un centro grandioso di organizzazione musicale, tra conferenze, seminari, opere e concerti con repertori dal rinascimento al contemporaneo. Non mancavano musiche ebraiche e persino composizioni jazz (un genere che i nazisti disprezzavano per la stravaganza dell'improvvisazione, etichettato come musica degenerata assieme ad altre forme non classiche o dodecafoniche). Scopo di quest'apertura culturale era contribuire a nascondere le atrocità che lì dentro venivano commesse.
Brundibar di Hans Krása, opera che narra una fiaba, interpretata dai bambini stessi del campo, fu rappresentata 55 volte visto il successo, ancora più beffardo se si pensa che nel '45, dei 15000 bambini rinchiusi nel lager ne erano sopravvissuti 1800. Noto anche l’episodio del Requiem di Verdi su richiesta dei carcerieri nazisti, per il quale il direttore d’orchestra Rafael Schachter aveva raccolto 150 coristi. All’indomani della rappresentazione, il 6 settembre 1943, furono tutti spediti ad Auschwitz.

“La musica rende tutto più leggero”
La musica si presta facilmente a momenti di ironia e canzonatura, che nel lager si traducevano in ulteriore cinismo. A Sobibòr, durante l'appello, il comandante Gustav Franz Wagner costringeva gli ebrei a improvvisare dei canti facendo finta di dirigere.
A Mauthausen, a seguito di un fallito tentativo di fuga, il detenuto Hanz Bonarevitz veniva accompagnato durante la sua esecuzione dalla canzone J’attendrai, suonata da un'orchestrina di gitani. Prigionieri comunisti dovevano cantare l'Internazionale mentre scavano la propria fossa.

“La musica è al di sopra di ogni altra cosa”
Sulla base del fascismo di Mussolini, ma con molta più efficacia, il vero veicolo di musica e informazioni utilizzato dai nazisti fu la radio. Nel 1933 il Ministro della propaganda Goebbels fece produrre una radio molto economica, che tutti potessero acquistare: Volksempfänger (ricevitore popolare), cui nel 1938 ne fu affiancato un altro ancora più piccolo DKE (deutsche kleine Volksempfänger), dotato di una valvola speciale con funzione di amplificatore. La potenza del suono era essa stessa emblema della supremazia ariana. L'aspetto più spietato di tutta questa pressione elettroacustica fu il suo impiego nei lager giorno e notte, a volume più alto possibile. “Noi ci guardiamo l’un l’altro dai nostri letti, perché tutti sentiamo che questa musica è infernale.” - Primo Levi, id.
Attualmente un utilizzo malvagio dei mezzi di diffusione sonora continua in certe carceri e luoghi di detenzione. Un utilizzo mai superato, anche se apparentemente innocuo, è quello di intrattenimento sonoro non richiesto, oggi attraverso televisioni e radio interne ad uffici, punti vendita, servizi al cittadino. Sempre per mezzo di tecnologie scadenti perché, anche in questi casi, la qualità d'ascolto non è prioritaria.
La musica è anche elemento di prevaricazione: si può non guardare ma si è costretti a sentire. Ai musicisti il compito di sensibilizzare gli altri anche su questo aspetto. Per onorare il passato, affrontare il presente, salvaguardare il futuro e la musica stessa.

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Nuovi assetti e vecchi conflitti sulle strade italiane

19/1/2021

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FotoMilano - Corso Buenos Aires
​Un diverso assetto di mobilità urbana si evidenzia già dal 2019 con l'aumento di ciclisti fattorini, motociclisti di diversa cilindrata, cittadini in monopattino e altre micro vetture elettriche, secondo modi di circolare imprevedibili, non ancora appartenenti a una psicologia condivisa del traffico. Questa nuova mobilità semi leggera si è sommata a quella leggera di chi pedala e cammina. Costituendo, sempre nel 2019, il maggior numero di vittime su un totale di sinistri peraltro in diminuzione. E gli incidenti più frequenti sono quelli per mancata precedenza, non rispetto della segnaletica, della distanza di sicurezza in fase di scorrimento e di manovra. Più numerosi sulle strade urbane perché è nei centri abitati che la distrazione fa più danni.
Le restrizioni imposte dal lockdown hanno avuto effetti positivi sul tasso di incidentistica stradale che nell'ultimo anno è diminuito ulteriormente. Tuttavia l'uscita dalla prima ondata a maggio ha coinciso con una rapida ripresa dei sinistri, a conferma che anche in stato di emergenza non si è sviluppato un maggiore senso di responsabilità. Ancora non ci sono dati completi sul 2020 ma l'obbiettivo di dimezzamento delle vittime in strada, richiesto dalla UE, rimane lontano.
Da sempre le colpe di un transito incontrollato ricadono su certe categorie. A Milano i veicoli a due/tre ruote sono considerati una presenza fastidiosa e i pedoni una sorta di popolo sottomesso al governo degli automezzi. Ora lo scenario sta cambiando, con le consegne numerose di cibo e altre cose, coi tanti che usufruiscono dei bonus per acquistare i nuovi veicoli elettrici, o che vanno a piedi per evitare il contagio su tram e metropolitane. Un esercito di nuovi erranti, distratti dalle tecnologie, spesso inesperti, comprimono strade già strette, ulteriormente ridotte da corsie riservate. E gli automobilisti, per quanto insofferenti, non possono costituire un modello perché i parcheggi abusivi, il non rallentamento agli incroci e i comportamenti da guida aggressiva, sono un dato di fatto. La nuova utenza si adegua a un lassismo che già esiste.
Lo stato di pandemia ha forse migliorato l'autocontrollo dentro negozi, supermercati e uffici ma non quello in strada, già da tempo condizionato da un uso improprio delle tecnologie: con l'incertezza dell'automobilista al telefono, lo sguardo assente di ciclisti e pedoni avvolti negli auricolari, cui si sono aggiunti monopattinatori che sfrecciano anch'essi acusticamente isolati, secondo una sorta di “sordità” che oltre all'udito coinvolge la vista: i casi dei giovani che mentre attraversavano a piedi non hanno sentito e nemmeno visto arrivare il veicolo perché l'ascolto di musica in cuffia li aveva totalmente estraniati dalla realtà stradale.
Come in un condominio, quando il conflitto si acuisce, emerge un problema di organizzazione, di comportamenti che sfuggono al controllo. Le diverse utenze che condividono la strada hanno gli stessi doveri nei confronti del Codice Stradale ma non pari diritti in termini di sicurezza. L'utenza delle mobilità leggere rimane la più debole, vulnerabile, ancora fortemente in minoranza. Che anche per questo, oltre a non superare a destra, dovrebbe essere sempre in grado di sfruttare i sensi e la loro complementarietà. E magari un giorno diventare maggioranza che automaticamente governa il traffico. Persino in una città come Milano.

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​​Intervista a Carlo Balzaretti, Pianista, Compositore, attualmente Direttore del Conservatorio G. Puccini di Gallarate.

8/1/2021

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La musica dal vivo è comunicazione, che aiuta dopo un lungo isolamento a riavere un rapporto con la propria interiorità. La musica del post covid soddisferà quel desiderio di rinascita che già si fa sentire.
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Come ha iniziato a farsi sentire la minaccia del covid in Conservatorio?
 
A fine gennaio 2020 un mio allievo cinese mi sconsigliò di partire per la Cina dove ero atteso come membro di commissione per un concorso pianistico internazionale. Mi disse che lì stavano succedendo cose gravi e sarebbe stato poi difficile rientrare in Italia.
Ai primi di febbraio già sapevo che la cosa era seria: gli studenti cinesi di Como (dove sono stato Direttore fino al 31 ottobre), appena rientrati dal loro Capodanno si erano autoisolati in casa. Parlando col Consolato Cinese a Milano ho avuto conferma che questi ragazzi dovevano restare 2 settimane in quarantena. La situazione è andata via via precipitando fino al 24 febbraio, giorno in cui abbiamo dovuto chiudere il Conservatorio. Nei mesi successivi si sono verificati casi di positività sia tra allievi che docenti.  

Come è stato possibile continuare la didattica con il Conservatorio chiuso?
 
Per trovare le migliori soluzioni, con 4/5 colleghi si è lavorato ininterrottamente per alcuni giorni con le piattaforme digitali. Il problema era la qualità audio in relazione alla connessione internet per lo studente. Se il collegamento è scarso, il programma si blocca automaticamente nonostante la buona qualità audio, specie in upload .
Abbiamo così potuto fornire un supporto alla didattica e un ausilio ai docenti che si dovevano attivare, per la prima volta della storia dei Conservatori, in DAD.
Abbiamo testato tutti i principali programmi di conference call: da Zoom a Skype a Star Leaf (che si è rivelato un ottimo programma per la ripresa audio) e completato la dotazione tecnologica con un buon computer Mac collegato a un iPad Pro fornito di Apple Pencil per scrivere durante la condivisione dello schermo.
La lezione frontale permette di cogliere ogni aspetto inerente il suono e l’interpretazione, oltre a poter “monitorare” la postura dello studente durante l’esecuzione, aspetto assolutamente non trascurabile, caratteristiche che sfuggono a queste tecnologie digitali di fatto limitanti. Questo è stato un danno per l'intero sistema musicale, principalmente in Italia dove non abbiamo collegamenti internet adeguati; personalmente dispongo di un impianto satellitare che ho fatto montare apposta per poter svolgere la mia attività ovunque mi trovo poiché il 4G non funziona a sufficienza. Il nostro paese è tecnologicamente arretrato!
Fino a che ho diretto Como, e adesso Gallarate, per riuscire a far funzionare la DAD ho scritto io stesso un vademecum per gli allievi con ogni indicazione di come regolare i livelli togliendo quelli automatici, tenere un microfono a distanza, scegliere la piattaforma giusta, utilizzare il cavo di collegamento Ethernet.
Ho avuto la fortuna, sia a Como che a Gallarate, di avvalermi di docenti che mi hanno supportato e seguito con entusiasmo, tanto che entrambi i Conservatori sono stati tra i più attivi durante il lockdown.
 
Il Conservatorio ha dovuto sostenere delle spese per adeguarsi ai protocolli governativi?

Il Ministero ha disposto decine di migliaia euro per i rivestimenti in plexiglass (visto che lo stabile non era attrezzato), in piattaforme digitali, tecnologie software e hardware: purtroppo sono cose che non bastano a sopperire ad una banda di trasmissione insufficiente. Consideriamo che molti Conservatori italiani sono collegati alla ADSL. Questi problemi, oltre ai DPCM che cambiavano in continuazione, hanno creato smarrimento fino a fine maggio.
Vanno comunque riconosciuti gli aiuti per gli adeguamenti sanitari e i supporti in modalità didattica che il Ministero ha inviato in tempi rapidi. Le mascherine hanno tardato ad arrivare per il fatto che mancavano ma siamo riusciti ad averne in omaggio un migliaio dal China Conservatory of Music ancor prima che dalle farmacie. Tutto questo grazie ai buoni rapporti che ho con le Università cinesi, iniziati intorno al 2008 quando ero Direttore a Brescia e Darfo Boario Terme. Avevo capito che lì era il naturale sfogo dell'evoluzione del sistema musica; quindi il mio impegno a creare dei gemellaggi con i principali Conservatori e Università.
In occasione di master e incontri tenuti con questi Istituti abbiamo selezionato degli allievi che ora studiano da noi. Cresce l'interesse a studiare in Italia da parte dei giovani cinesi. Cresce anche il livello. C'è grande fermento e soprattutto grandi investimenti perché oggi il mercato musicale cinese, in termini di domande e di budget, supera Europa e America messe insieme. E l'importanza della musica per i cinesi si spiega anche nel modo con cui hanno affrontato la pandemia: dopo un rigoroso lockdown da fine gennaio a settembre (attraverso il quale il virus è stato sconfitto) hanno ripreso le attività utilizzando un sistema molto preciso di rintracciamento tramite codici QR che localizzano possibili casi di positività (oltre che usando tutti le mascherine). Il nostro blackout della musica è iniziato a metà febbraio e a parte qualche breve parentesi, non si è mai interrotto.

Come hanno reagito gli allievi a questo nuovo tipo di didattica?

Con impegno e responsabilità. Il problema è stato rivederli suonare dal vivo dopo il primo lockdown perché per loro sembrava di nuovo la prima volta. Erano stati bravi a mettersi in gioco nonostante le insicurezze, tuttavia qualcosa era cambiato. Era normale che tanta distanza reale avesse lasciato un segno ma se non altro quella volta c'era la speranza di ricominciare, smentita poi dalla seconda ondata. E così ora è anche peggio!

Si sarebbe potuto fare qualcosa in più per salvaguardare il mondo dello spettacolo? 

Se anziché tenere aperte le discoteche durante l'estate si fosse fatta un po' di musica nelle chiese e altri spazi deputati, indossando le mascherine, provando la febbre e mantenendo le distanze, si sarebbe tenuto conto di un aspetto fondamentale musica, ovvero che è innanzitutto terapeutica. 
La musica dal vivo è comunicazione, che aiuta dopo un lungo isolamento a riavere un rapporto con la propria interiorità, le proprie emozioni. Se per molti il vicino di casa che usa il martello pneumatico è comunque preferibile a quello che suona il pianoforte è anche perché quest'ultimo riesce a riportare alla mente conflitti mai risolti.
La musica del post covid sarà terapia, in grado di interrogare su ciò che ci manca e ciò che desideriamo: sono emozioni che il computer non è in grado di suscitare allo stesso modo.
Noi potevamo aiutare coloro che hanno sofferto in questi mesi attraverso quella sorta di osmosi che si viene a creare tra chi e suona e chi ascolta. Questa avrebbe dovuto essere la funzione della musica e i concerti che ho potuto fare durante l'estate ne sono stati una testimonianza. Ho visto persone che erano arrivate in un visibile stato di tensione andar via a fine concerto in tutto altro clima: di entusiasmo e voglia di rinascita, attraverso un pubblico diverso dal solito, che sembrava aver vissuto questa esperienza come qualcosa di nuovo, fino a commuoversi.

Questo periodo di astinenza dai concerti può aver stimolato una riflessione sulla musica dal vivo?

Certamente! Pensiamo solo alle vibrazioni infinite di uno strumento acustico in base alle diverse sollecitazioni da parte di chi lo sta suonando e a come lo strumento musicale reagisce all'ambiente (temperatura, umidità ecc.). Terapeutico per il pubblico sarà altresì tornare a sentire dei suoni puri, non limitati dal calcolo numerico del sistema di campionamento digitale. Il suono digitale è come un'immagine computerizzata sulla base di una memoria che, se limitata a 3 milioni di pixel, di fatto non si riesce ad ingrandire. Lo stesso confine vale per l'ascolto con un dispositivo mp3 o mp4. Ovviamente un file ad alta definizione è in grado di cogliere molte più cose ma purtroppo riguarda un mercato di nicchia, non i grandi siti di streaming.
Il suono riprodotto avrà sempre un limite e, per colmare una carenza che dura da tempo, dobbiamo ritornare al suono pulito, ricco, appagante. Che permette di cogliere quella profondità e prospettiva così come solo lo strumento acustico è in grado di fare. Del resto, perché siamo tornati al vinile?
Quando si parlava di freddezza del CD ci si riferiva a quella limitatezza del suono digitale in ogni sua nota: forse non tutti se ne rendono conto ma si tratta di un suono svuotato rispetto all'analogico. Ascoltare suoni puri, in un ambiente insonorizzato, senza quei 40/50 dB di rumore esterno, significa ritrovare la propria pace, la propria interiorità. La musica dal vivo sarà il migliore vaccino per un ritorno alla vita e alla socialità, come incontrarsi, cenare assieme, parlarsi, amarsi.
Già da tempo l'abitudine ad ascoltare musica riprodotta ha contribuito involontariamente alla crisi del concerto di musica classica. Ed è proprio dai social, dai canali di comunicazione che utilizzano i giovani (e anche gli adulti) che dobbiamo ripartire; oltre che da una migliore fibra a livello nazionale. Non possiamo pretendere di avere il pubblico in sala se non siamo noi a portarcelo.
Sicuramente dobbiamo riprendere a fare musica dal vivo, ma in un modo diverso. Cambieranno i programmi e anche il nostro modo di essere, più vicino a chi ascolta: se il pubblico non capisce Beethoven è perché noi non siamo capaci di comunicarlo. La grandezza di musicisti come Rubinstein o di Horowitz era la semplicità nel modo di proporre ciò che suonavano, la stessa con cui Mozart scriveva una musica facile all’ascolto, frutto di una  grande complessità strutturale interna.

La lezione concerto può essere un modo per rendere più partecipe il pubblico?

Quello che serve adesso non è parlare ma è comunicare. 
Il gesto di Direttori come Toscanini, Kleiber o gli stessi sguardi di Celibidache erano intensi in termini di comunicazione, fino ad identificarsi con il pubblico: Karajan quando dirigeva a Parigi riusciva essere il Direttore più francese tra i francesi. Dobbiamo imparare dai “grandi” questo messaggio forte, autentico. Attraverso artisti che si esprimono dal vivo e un pubblico con il quale si crea una sorta di interazione, di feedback.
Tra le vittime che purtroppo ha causato il covid molti erano i famosi over '80, che venivano ai concerti e a cui ero affezionato. Questo tipo di pubblico si è così molto ridotto. Non per questo bisogna ricostituirne un altro ma dobbiamo ripresentare la Classica svecchiandola dai vecchi cliché.
Tra il primo e il secondo lockdown si è data priorità a situazioni di svago e non a concerti di musica classica attraverso il distanziamento del pubblico: una cosa che avrebbe fatto piacere a molti perché a dispetto dei luoghi comuni, per cui questo genere in Italia non interessa, basterebbe vederne gli alti indici di ascolto su YoutTube, i numeri dello streaming!

Cos'ha comportato il lungo lockdown per i concertisti di professione?

Di fatto sono stati organizzati solo grandi e unici eventi come quello dalla Scala o esibizioni dei soliti vip televisivi. Tutti i giovani musicisti e professionisti che volevano fare concerti hanno dovuto rinunciarci perché non è arrivata nessuna copertura. Ognuno ha perso decine di migliaia di euro, per molti un vero collasso economico! 
Per venire incontro ai tanti artisti in difficoltà, con la ITSRIGHT, società di collecting indipendente che gestisce i compensi per i diritti connessi, oltre le varie iniziative abbiamo inoltrato richiesta alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, affinché i diritti connessi legati a YouTube, provenienti dai banner pubblicitari imposti agli ascoltatori, vengano riconosciuti anche ai musicisti e non solo a Google: una situazione non più tollerabile considerato che queste piattaforme sono i nuovi committenti, senza i quali non c'è musica, non c'è produzione e nemmeno musicisti.

Cambierà qualcosa una volta finalmente usciti dalla pandemia?

Poiché la ripresa richiederà tempo, il pubblico all'inizio sarà scarso. Chi organizza concerti dovrà occuparsi anche di uno streaming di qualità, creare dei canali ad hoc e un apposito archivio.
I costi da coprire richiederanno la messa in atto di tutta una serie di sinergie per offrire nuove opportunità a chi ascolta: ad esempio trasmettere lo stesso concerto in 3/4 sale diverse attraverso un pubblico limitato, utilizzando strumenti digitali ad altissima tecnologia come i pianoforti ibridi. Proporre programmi diversi di giorno in giorno da parte di uno stesso interprete. Permettere di interagire attraverso lo streaming col musicista prima o dopo il concerto, fargli delle domande.
Comunicare è la cosa più bella, che penso più ci sia mancata in questi mesi anche se le origini di questa mancanza risalgono comunque alla frattura tra pubblico e compositori avvenuta a fine Ottocento, almeno per ciò che concerne le espressioni della Musica Colta.
Creare una coscienza intorno a quanto è successo è ciò che ora occorre per aprirsi a nuove forme di comunicazione. Va bene che ci sia una musica per adepti ma in fondo di musiche ne esistono tante, più o meno buone: certe musiche da film, o tradizionali, sono di grande livello.
Così come camminando in diversi quartieri di Milano come Porta Venezia o Chinatown si colgono diversi profumi, odori e si sentono parlare altre lingue, si dovrebbe imparare ad ascoltare altre musiche: questa anche è comunicazione. Non dimentichiamoci che la grande rinascita americana fu l'incontro della cultura nera e indiana con quella occidentale, senza di cui non ci sarebbe stato il Jazz, non ci sarebbe stato Gershwin.
La musica del post covid sarà terapeutica anche attraverso il confronto tra culture e generi diversi.
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January 06th, 2021

6/1/2021

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