![]() "Avevo un'idea speciale, non volevo che gli imprenditori sfruttassero il Terzo Mondo prendendogli le risorse senza da loro nulla in cambio". E. Mattei 1 Il caso Mattei rimane emblematico dei tanti misteri italiani rimasti tali ed esemplare di una figura di imprenditore, politico che, ancor prima dei fini, aveva cuore le condizioni di chi lavorava presso le piattaforme petrolifere dell'ENI, gli uffici di rappresentanza, i distributori di benzina ecc. Non meno il benessere e la dignità dei paesi che fornivano materie prime. Ciò avveniva in un momento in cui l'Italia si stava risollevando economicamente ma i problemi erano ancora molti. Le risorse energetiche, una volta individuate, acquistate senza i vincoli di cartello economico, avrebbero cambiato le sorti dei tanti italiani costretti a espatriare in cerca di lavoro. E gradualmente migliorato le condizioni di quei paesi il cui rapporto con l'Occidente significava cedergli le materie prime a basso costo: le politiche di Mattei, pur lontane da ogni paternalismo, prevedevano infatti uno scambio diretto, senza intermediari, secondo un prezzo per il paese venditore proporzionato con le proprie ricchezze naturali. Ne parlo con Rosangela Mattei (figlia di Italo Mattei fratello di Enrico) e il marito Alessandro Curzi (noto chirurgo della Regione Marche) in un palazzo in centro a Matelica, tra immagini, quadri, attestati che raccontano la vita di Mattei da scolaro a giovane combattente partigiano alla guida delle formazioni cattoliche, a presidente dell'ENI. Una telefonata al Museo Mattei, una voce gentile che mi dava appuntamento e poco dopo mi trovavo assieme a persone che gli hanno dedicato la vita cercando di dimostrare una verità che in troppi non volevano venisse a galla: riconoscere che la sua morte era stata premeditata sarebbe stato sconveniente in un momento di crescita economica che poggiava su equilibri politici fragili: con le numerose correnti democristiane, in piena guerra fredda. Se la ricerca di fonti di energia attraverso un contatto diretto con i produttori africani disturbava la politica monopolistica dei grandi potentati atlantici, il rapporto con i produttori sovietici, pur trattandosi di materie prime e non di idee, creava conflitto all'interno delle forze centriste (Mattei peraltro fu sempre un uomo di centro, per un periodo anche parlamentare della DC). Forse non è un caso se, solo a seguito della caduta del muro di Berlino, e disfacimento del pentapartito, sia stata condotta fino in fondo un'indagine sulla sua morte, i depistaggi, la sparizione di persone tra cui il giornalista Mauro De Mauro il quale, indagando per conto del regista Francesco Rosi impegnato a realizzare un film su Mattei uscito nel 1972, ascoltava le testimonianze di chi quella sera, a Bascapè, aveva visto un aereo esplodere in volo anziché schiantarsi al suolo. La propensione a insabbiare i fatti senza lasciare emergere complicità dall'alto era tipica di un sistema che, in quegli anni, andava bene ai più. Per il quale tanti casi sono rimasti irrisolti, tante stragi impunite. "La politica è un gioco di compromessi continui" commenta Alessandro Curzi mentre beviamo il caffè seduti attorno a un tavolo. In tanti anni di incontri con politici di ogni partito lui e la moglie hanno visto da vicino come funzionano certe dinamiche. Rosangela non ha mai smesso di scrivere, raccontare, coinvolgere i politici, spiegare ai più giovani i motivi per cui un uomo che lavorava per gli altri, offrendo risultati concreti, potesse avere tanti nemici. Suo zio Enrico era scomodo ai grandi imprenditori italiani nonostante aver rimesso in piedi un'azienda come l'AGIP per la quale era stato incaricato come liquidatore. Per aver in seguito dato vita all'ENI con annessa una larga rete di servizi terziari tra motel, autogrill, strutture per i dipendenti. Era di ostacolo alle compagnie petrolifere mondiali perché ne minacciava il monopolio attraverso politiche di cooperazione paritaria con i paesi del terzo mondo anziché di capitalismo predatorio. Riceveva minacce dalle organizzazioni per il mantenimento del dominio francese in Algeria perché i suoi rapporti economici con questo e altri paesi ne implicavano l'indipendenza. Ed era scomodo a chi, all'ENI, avrebbe voluto occupare il suo posto adottando una linea di conduzione meno altruista, meno morale (così come riuscì a fare in seguito alla sua morte), oltre che ai suoi stessi compagni di partito per un tipo di imprenditoria "socialista" più vicina alle correnti della sinistra democristiana che a quelle dorotee. Una matrice puramente italiana (più che un complotto internazionale) secondo anche la ricostruzione dei fatti sarebbe alla base di un assassinio la cui entità è stata comprovata. E del quale si suppongono i responsabili anche se, legalmente, rimangono sconosciuti. Ora si parla molto di Enrico Mattei (più che negli anni passati) e si vorrebbero attualizzare le sue politiche energetiche in Africa. Aroldo Curzi, figlio di Alessandro e Rosangela, presidente della fondazione Mattei, in un'intervista descrive le condizioni di partenariato equilibrato come vero e proprio metodo che ha contraddistinto l'agire del prozio. Considera realizzabile un nuovo piano Mattei in base agli attuali contesti, con gli adeguati cambiamenti, ma che potrà veramente definirsi tale qualora applicato secondo quegli stessi principi. A conclusione di una giornata insolita con visita in un museo che, ancor più che un'esposizione è un'esperienza di condivisone dal vivo, mi viene da riflettere su quegli anni di miracolo economico tra personaggi irripetibili, episodi grandiosi e altri spaventosi. E mi sento particolarmente grata a persone come Rosangela Mattei e i suoi famigliari per l'impegno nel tramandare idee e metodi di chi ha fatto la storia. E nel far conoscere la vera storia. 1Rosangela Mattei, Enrico Mattei. Mio zio, Halley ed, Matelica 2013.
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![]() Lo scorso 10 Giugno in via Melchiorre Gioia a Milano un rider veniva investito con conseguenze gravi. Nella stessa sera un suo collega, anch'esso pakistano, veniva ucciso da un pirata di strada rintracciato poi il giorno dopo. In entrambi i casi alla guida dell'automobile erano cittadini italiani; che sono risultati negativi agli alcol e droga test, ovvero a quegli indicatori di colpevolezza su cui il Ministro ai trasporti Salvini ha posto l'accento nel riformulare il Codice della Strada. Ciò nonostante “eccesso di velocità”, “non rispetto delle segnaletiche” e “andamento indeciso”, rimangano le prime cause di incidenti indipendentemente dall'abuso di alcolici e droghe. Per quanto riguarda l' “andamento indeciso” il nuovo regolamento prevede un giro di vite per chi guida con in mano il telefonino attraverso multe peraltro facili da contestare, specie se rilevate a distanza qualora il veicolo andava troppo veloce per essere fermato: già sono pronte le scusanti per i conducenti come quella che, in realtà, ci si stava grattando un orecchio, o in mano si teneva un altro oggetto. Senza contare poi che, la sordità indotta dalle tecnologie, è causa di sinistri anche a mani libere. Per quanto riguarda l' “eccesso di velocità”, anziché un'intensificazione dei controlli automatici, è prevista una riduzione degli autovelox. Le multe saranno più salate per chi occupa i posti riservati ai disabili, il che è giusto ma non si considera il rischio cui ciclisti e pedoni sono esposti a causa di parcheggi abusivi che, a prescindere dal tipo di spazi che occupano, sono pericolosi, soprattutto agli incroci poiché impediscono di vedere con anticipo chi arriva dai lati. Ancora non si può dire se il nuovo Codice della Strada, pur nelle sue contraddizioni, farà diminuire gli incidenti con lesione alla persona agendo comunque a livello di deterrenza e sensibilizzazione: questi effetti già si dovrebbero verificare. Milano continua a essere città degli automobilisti che “hanno ragione”, il cui tempo vale più di quello di un altro. E' passato più di un mese da quando 2000 volontari hanno mappato le soste irregolari contandone 64000 in poche ore ma né il Sindaco, né la Giunta Comunale, si sono ancora espressi. Ciò è doppiamente grave perché se, dall'alto, certe irregolarità diventano consuetudine su cui soprassedere, dal basso una mentalità individualista, ostile, non può che rafforzarsi; persino a Milano che, pur nella sua tradizione di città caotica, rumorosa, è sempre stata rispettosa dello spazio comune e di chi andava più lento: la base pianeggiante e i marciapiedi, un tempo liberi dai veicoli, favorivano il passeggio di anziani, di bambini che andavano a scuola da soli e che al pomeriggio si ritrovavano per schettinare. I ciclisti in strada non davano fastidio a nessuno. A partire dagli anni '80 le cose sono cambiate con l'aumento di persone e automobili in una metropoli che vedeva sorgere nuove categorie: del popolo della notte, dei cittadini non residenti e dei turisti ultimamente numerosissimi. In assenza di adeguati interventi urbanistici, legislativi, si è arrivati all'attuale schieramento tra cittadini che, attraverso il motore, dominano la strada e gli altri che in qualche modo disturbano, fanno perdere del tempo. Intanto prosegue silenziosa la strage dei più deboli. In questo caso di chi pedala per consegnare cibo a domicilio a cifre ridicole: col gelo, con la pioggia, in strade di notte scarsamente illuminate! Una categoria che, evidentemente, il Ministro non considera abbastanza quando, a difesa di una velocità senza troppi impedimenti, sottolinea che la gente la macchina la usa per andare a lavorare e non solo per divertirsi. ![]() Milano città dai tanti cofani. Dove si cammina tra lamiere, paraurti, e i bambini passeggiano con il viso a poca distanza dalle marmitte. Un po' ci siamo assuefatti: per abitudine, per difesa. Me ne sono accorta giovedì 16 maggio quando, verso le 18 partecipavo all'iniziativa "Via libera" organizzata dall'associazione "Sai che puoi". Si trattava di realizzare una mappatura dei parcheggi abusivi a Milano. Percorrendo le vie di zona Sarpi, storico quartiere cinese, fotografavo e segnalavo veicoli che occupavano i marciapiedi, gli spazi riservati ai motocicli, parte degli incroci. Auto in doppia fila ne ho viste poche date le strette vie ma non mancavano nemmeno quelle. Mentre invio numeri e immagini attraverso apposita piattaforma mi informano che la città si sta riempiendo di volontari che fanno la stessa cosa nelle aree a loro assegnate. E' sorprendente quanti, in questa zona, sono i parcheggi abusivi da parte fornitori, trasportatori, residenti, clienti di negozi, ristoranti, parrucchieri ecc. Eppure, avendoci abitato per anni, il disordine, i clacson di chi non riusciva a uscire dal passo carraio, o a procedere lungo la carreggiata, li notavo eccome! Più volte avevo avvertito i vigili ma nessuno è mai intervenuto. Ora che osservo queste situazioni una ad una mi rendo conto anche del perché di tanta guida aggressiva tra veicoli che sbucano all'improvviso in prossimità di crocevia, attraversamenti pedonali: dove la sosta irregolare diventa prassi brusche accelerazioni, frenate all'ultimo momento e guida distratta, diventano anch'esse consuetudine. Posteggio illecito e traffico della paura procedono assieme. Dopo le 20 il cielo inizia a imbrunire, i negozi chiudono, la gente rientra a casa, i ristoranti si riempiono ma la situazione a livello di sosta abusiva non cambia anche se ci sono sempre posti liberi nei garage aperti H24 nelle vie Giusti, Rosmini, Balestrieri, Bramante: certo bisogna pagare qualche euro ogni ora ma non si può dire per questo che a Milano manchino i posteggi. Se ci sono troppe automobili è anche perché qui, differentemente da metropoli come Londra o NY, la sosta abusiva è consentita; tanto che in quella stessa sera sono stati conteggiati quasi 64000 parcheggi irregolari. E parliamo anche dei mancati introiti per il Comune in un momento in cui, gli stessi politici che vantano di aver inasprito le pene per chi si comporta scorrettamente, accusano un uso speculativo degli autovelox. Se solo in quella sera tutte le 64000 auto fossero state multate sarebbero entrati almeno 5,3 milioni di euro nelle casse comunali. Si tratta di soldi che, anziché "far cassa", vengono tristemente spesi perché i costi sociali sono comunque elevati: veicoli fermi, dove non si potrebbe, limitano la visuale causando incidenti. E' curioso come in poche ore dei semplici cittadini, che si improvvisano in ruoli non proprio abitudinari, possano fornire numeri così significativi. Ma anche un dato qualitativo emerge e fa riflettere: quello di una Milano in cui lo spazio pubblico non appartiene più ad ognuno indistintamente se a piedi o in macchina. Ora un dato quantitativo, ricavato dal basso, renderà più trasparente l'orientamento di chi, dall'alto, può scegliere se mantenere la città in cui velocità e sosta abusiva sono legittimate da ogni esigenza privata, o optare per un'altra in cui la strada assume una sua identità di percorso, e non solo di corridoio e parcheggio casuale: magari spingendo un passeggino, accompagnando un disabile, osservando ciò che circonda. Senza ostacoli. Senza paura. Vigili e ausiliari già ci sono e, se non bastano, con gli introiti delle multe se ne assumono degli altri, si installano dei dissuasori di sosta. Liberare le vie si può (...volendo) .
![]() Non ha così torto il Generale Vannacci quando propone le classi speciali per alunni con problemi. Solo che non individua i veri casi critici, quelli in grado di ostacolare il normale svolgimento scolastico. Si tratta di giovani che non hanno particolari problemi fisici, in un'età che varia tra i 10 e 16 anni: prima, per quanto irruente, un bambino non è ancora intenzionalmente maldisposto. Dopo, il giovane è consapevole di aver superato l'età di obbligo all'istruzione. Vengono definiti caratteriali, problematici, affetti da energie in eccesso, ineducati. Il non rispetto nei confronti di compagni e insegnanti si esprime attraverso rumori con le sedie, i banchi, le urla. Mangiano, bevono e telefonano, durante la lezione. Il disturbo come mezzo plateale per imporsi in una continua competizione, principalmente a discapito degli alunni più emotivamente fragili e di quelli con diverse abilità per i quali, l'inserimento nella classe, è fonte di socialità, sviluppo delle proprie potenzialità. La coesione di un nucleo scolastico, quella per cui tutti migliorano, si basa su equilibri tra gruppi particolarmente brillanti e altri meno, ma disposti a collaborare. Gruppi disciplinati e altri meno, ma con dei genitori che li inducono all'autocontrollo. Chi attualmente propone classi di alunni differenziate, in base alle diverse abilità, ignora la contrapposizione che davvero incide sull'apprendimento di tutti. Che non è quella tra i ragazzi “normali" e “diversamente abili” ma tra quelli (e relative famiglie) che ancora credono nell'istruzione e gli altri che invece la subiscono, non senza manifestazioni di intolleranza, disprezzo. In età scolare sentimenti di xenofobia, sessismo, omofobia è facile siano influenzati dagli adulti secondo una realtà spesso trascurata quando si parla di corsi di affettività per i più giovani. Ed è bene agire prima che queste emozioni negative si trasformino in mentalità radicate, particolarmente pericolose in epoca di cyberbullismo: molti purtroppo gli adolescenti che arrivano a togliersi la vita esasperati dalle continue offese a scuola e in rete. L'allontanamento dalla classe di alunni volutamente ostili, senza più un pubblico per il quale esibirsi, impone loro un confronto diretto con se stessi e i pochi che hanno attorno. E anche “fare branco” perde interesse in assenza di vittime facili mentre invece possono emergere delle personalità distinte. É ciò che hanno riscontrato diversi insegnanti ritrovandosi a tu per tu, o in piccoli gruppi, con ragazzi che, una volta usciti dal ruolo di provocatori, esternavano pensieri fino ad allora inascoltati da quelli stessi genitori che tanto li difendono. I lavori socialmente utili, magari a stretto contatto con coetanei realmente sofferenti, li inducevano a mettere da parte ogni impulso di aggressività e spacconeria. A testare l'esperienza dell'ascolto e della riflessione. Mentre chi svogliato, o distratto, può migliorarsi attraverso gli automatismi che si creano nel gruppo per cui ognuno da e riceve qualcosa, arroganza e reticenza si impongono sull'insieme senza compensazione alcuna: l'inclusione in questi casi gioca un ruolo avverso. É vero che ragazzi maleducati (così come si chiamavano prima) ci sono sempre stati ma la scuola, in un passato non così lontano, godeva ancora di un suo prestigio e autorevolezza (se non altro per i genitori) e il rumore non era aggravato dalla voce amplificata delle tecnologie portatili. Ha ragione il Generale quando dice che certi casi, proprio perché suscettibili di attenzioni particolari, andrebbero trattati separatamente. In attesa di potersi nuovamente inserire in una classe senza intralciarne i naturali equilibri di coesione e serenità di ognuno. Indipendentemente dalle proprie abilità. ![]() Che bello andare in treno guardando fuori dal finestrino, seduti comodamente (cosa che ormai viaggiando in aereo ci si è dimenticati). Il paesaggio merita perché la ferrovia taglia la campagna, i boschi, affianca villaggi ancora circoscritti. Un peccato non godersi queste parentesi per via di telefonate invasive e sonerie insistenti. Se in Inghilterra, come anche in Svezia e altri paesi nordeuropei, ci sono i vagoni in cui non si può parlare a voce alta ed è imposta la soneria silenziata, perché non farli anche in l'Italia? Dove peraltro Il treno continua a essere un mezzo di trasporto per i pendolari? Per i quali questo intervallo significa recupero del proprio tempo attraverso il lavoro telematico, il riposo e la lettura? Qualcuno, quando qui se ne è parlato, diceva che queste aree sono discriminanti. Ma ascoltare fatti che non ci riguardano e musichette risonanti non è forse discriminante, oltre che fastidioso? Battiamoci per i vagoni FANA anche in Italia ![]() E' il caso di Maurizio Pollini, pianista recentemente scomparso: chi ha frequentato il mondo musicale negli anni '70 può testimoniarlo perché lui, bravura a parte, come altri artisti della sua generazione ha rappresentato un periodo culturalmente particolare: con la generosità di concerti non più solo nei luoghi tradizionali. Con le prime assolute, l'apertura a compositori che si presentavano al pubblico suscitando reazioni contrastanti (come fu per John Cage al Teatro Lirico di Milano nel dicembre '77). Eppure non era solo la curiosità verso il nuovo ad attirare il pubblico. Non che chi ha studiato musica dopo gli anni '80 sia meno colto. Al contrario, i percorsi di studio si sono via via arricchiti di materie teoriche. Ma certi artisti rappresentano ancora un concetto di musica integro, per certi versi supremo: fino a circa gli anni '80, anche per chi era cresciuto ascoltando canzonette, la musica classica restava un mondo cui avvicinarsi, dal quale imparare indipendentemente da gusti e abitudini. Attualmente i concertisti parlano al pubblico spiegando i brani. Allora il messaggio arrivava attraverso la musica stessa e l'interpretazione: come se il pubblico non avesse bisogno di essere istruito ma che gli fosse offerta l'occasione di ascoltare. I concerti tenuti da Pollini nelle fabbriche erano stati messaggi politici ma anche momenti di grande emozione per i presenti. Ancora non si avvertivano gli effetti della diffusione di musica amplificata dentro stazioni, bar, ecc., iniziata negli anni '80 con la liberalizzazione di emittenti private per lo più commerciali. L'ascolto musicale dal vivo costituiva un'esperienza soprattutto per i giovani i quali, ancora liberi da dipendenze tecnologiche, si approcciavano a quel mondo per molti distante (specie per quanto riguarda la musica contemporanea) ma che imponeva attenzione, desiderio di confronto con gli interpreti, gli autori: una fase di vivacità culturale che alcuni musicisti hanno saputo cogliere attivamente. Senza per questo fare distinzione tra un pubblico e un altro come quando Pollini, nel dicembre '72, prima di iniziare un concerto in sala Verdi a Milano avrebbe voluto leggere un comunicato di solidarietà con il popolo vietnamita martoriato dai bombardamenti americani. Il pubblico della Società del Quartetto, non particolarmente giovane e mentalmente aperto, si irritò per quel “fuori onda” al punto che il concerto venne sospeso. Poi, nel giro di una decina d'anni interesse e rispetto condiviso verso ciò che non si conosce sono stati sopraffatti da uno scadimento complessivo di contenuti radiotelevisivi finalizzati ad accattivare il committente attraverso il gossip, la cronaca nera, programmi a sfondo sessista. Cui i personaggi pubblici in parte si sono adattati partecipando a trasmissioni televisive di ogni tipo. Una tendenza continuata nel tempo e rafforzatasi con l'avvento dei social media. Dalla quale deriva in parte l'attuale disinteresse, o addirittura disprezzo, verso ciò che non si conosce. Nel suo intervento a inizio dicembre 2011 presso lo spazio PalaSharp di Milano, per un incontro organizzato da un gruppo di opposizione all'allora governo in carica, Pollini esprimeva la sua preoccupazione per un degrado morale, culturale, del quale esponenti della politica erano i primi a non provare disagio (se non a farne un punto di forza). Il suo “simpatico” imbarazzo nel trovarsi in una situazione insolita confermava quel connubio di riservatezza e impegno civile che ha contraddistinto certi artisti; anche quando il mondo della cultura si andava trasformando sulla scia di modelli comunicativi uniformanti. Se, nonostante la distrazione sociale indotta dal marasma fonico, la musica dei grandi autori e interpreti rimane una risorsa, è grazie anche a questi artisti: che pur avendo studiato quando ancora si sentivano i passi dell'uomo, e il vociare in strada, hanno saputo sfruttare il lato migliore delle tecnologie lasciando un ricco patrimonio di registrazioni. Che hanno attraversato le epoche estraniandosi dal contesto mediatico che riempie i palinsesti (pur denunciandone i sintomi). Restando sensibili ai problemi reali che affliggono la gente: il prossimo recital di Maurizio Pollini doveva svolgersi a sostegno del popolo ucraino. ![]() Il risparmio energetico é un bene di “pubblica utilità” perché riduce l’inquinamento ambientale, la dipendenza dall’estero dell’energia, i costi di gestione degli edifici. Corte di Cassazione – Ordinanza 26 novembre 2020, n. 27035 Un mondo più pulito tutti lo vorrebbero, anche quelli che fanno un uso smodato di automobili, impianti di riscaldamento, condizionamento ecc. La transizione ecologica degli edifici è strategica perché questi concorrono alle emissioni nocive per circa il 45% del totale. Ma è anche molto costosa. É infatti stata stimata la spesa di 500 miliardi l'anno per passare all'utilizzo di energie rinnovabili. E ci vorranno vent'anni. La transizione ecologica, di cui si parla come fatto nuovo, in realtà è già in corso da tempo: gli edifici costruiti dopo il 2006 sono obbligatoriamente NZEB, ovvero devono essere in classe energetica A++. Ma la maggior parte in Italia rimane in classe F/G con un consumo di energie da 10 a 30 volte maggiore rispetto a un edificio nuovo. Completare questo processo senza alcun intervento dello Stato imporrerebbe ai singoli un costo insostenibile: per chi ha più di cinquant'anni i tempi di ammortamento non compenserebbero il sacrificio nonostante la riduzione delle spese di riscaldamento. L'educazione al risparmio energetico attraverso comportamenti più consapevoli non è sufficiente specie in regioni come la Lombardia (densità di popolazione, inverni rigidi ecc.). Da soli si può usare di meno la macchina, contenere i consumi di gas ed elettricità ma non è questo che fa la differenza: tutti hanno bisogno di una casa dove abitare, di scuole per i figli, ospedali in caso di necessità. Per mangiare occorre che i campi vengano coltivati. La transizione ecologica impone ai coltivatori l'utilizzo di tecniche e materiali ecosostenibili. Ed ecco che i trattori scendono in strada per protestare contro un adeguamento per loro troppo oneroso: un fatto di cui si è parlato relativamente poco, se non in termini di disagio per la cittadinanza. Un grosso investimento pubblico, sullo stile del piano Marshall che ha consentito di ricostruire velocemente l'Europa uscita distrutta dalla guerra, sarebbe a questo punto l'unica via: in un tempo a medio/lungo termine. Senza che le regole vengano cambiate ogni 6 mesi. Una possibilità che, a livello di sgravio fiscale, e incentivi di vario tipo, già c'è stata attraverso super bonus 100%, ma che ha anche lasciato dubbi e scontentezza. Il legislatore non aveva previsto un'altissima domanda da soddisfare entro scadenze di 1/ 2 anni quando invece i grandi cambiamenti richiedono tempi lunghi: per permettere alle industrie di costruzioni di fare ricerca, di svilupparsi aumentando la capacità produttiva, razionalizzando le procedure, migliorando i prodotti. È mancato il tempo per questo continuo divenire indotto dalla libera concorrenza di mercato. Confidare in un piano di sviluppo pubblico per rendere gli edifici meno inquinanti può sembrare un non senso in un momento in cui i fondi del PNR vengono impegnati in progetti spesso inutili in mancanza di un programma omogeneo come ridurre le emissioni nocive su tutto il territorio, da potersi realizzare nei tempi necessari. Investire nella transizione energetica riguarda tutti: ha ragione chi guida i movimenti green nel pretendere di passare dalle parole ai fatti. Le Direttive a livello europeo in tal senso non mancano ma occorre chiarire chi paga: se le famiglie e le imprese (e già si è visto che non è sostenibile). Oppure con un'emissione di bond europei con scadenza lunghissima e tassi agevolati come possibilità di finanziamento centralizzato. Sarebbe l'occasione per l'Europa di sviluppare un progetto comunitario duraturo e ambizioso. Che può rispondere alle esigenze ambientali del pianeta e della relativa economia. ![]() Onorevole Presidente Meloni, Onorevoli Capigruppo alla Camera, Vi trasmettiamo l'accorato appello di madri, figlie, fratelli di vittime sulla strada, che si rivolgono direttamente al Presidente Meloni come Capo del Governo, per la tutela di ciò che di più sacro esiste, la vita umana: https://vimeo.com/cinevanontour/codicedellastrage Vi chiediamo di sospendere l'approvazione del Nuovo Codice della strada e di incontrare le associazioni dei familiari delle vittime sulla strada per riscriverlo insieme a loro e a chi - con loro e per loro, a partire dalla società civile - si sta mobilitando per chiedere più sicurezza sulle strade. L'attuale disegno di legge all'esame del Parlamento, infatti, contiene tanti, troppi articoli che vanno manifestamente contro ogni evidenza scientifica in materia di sicurezza stradale, allentando regole e controlli su alta velocità e traffico motorizzato, restringendo i diritti e gli spazi di sicurezza per gli utenti più vulnerabili, togliendo capacità di intervento a qualsiasi amministrazione comunale e in generale non intervenendo in modo sistematico sulle cause primarie degli incidenti stradali in base ai dati Istat. Fare scelte che tutelino la vita e la sicurezza delle persone sulle strade è un dovere che va oltre le legittime scelte politiche di chi governa. Purtroppo l'attuale disegno di legge va nella direzione opposta, aggiungendo poco e togliendo molto per poter finalmente dire: basta morti in strada. Ma Voi, e Lei - Presidente - in particolare siete ancora in tempo per scrivere una storia diversa, una storia Giusta. "BASTA MORTI IN STRADA" ![]() Oggi nel mondo c'è revisionismo: anche se presenti dei fatti alle persone, si parla delle motivazioni di quei fatti. Ma i fatti sono fatti. Per me è questo il rumore di fondo. Jonathan Glazer, regista del film “La zona d'interesse". Normalmente si pensa alla colonna sonora di un film come insieme di musiche. Qui diversamente il sonoro si compone di suoni che esprimono se stessi (come il cinguettio degli uccelli) e del persistere di un rumore di fondo con l'effetto di continuo rimbombo. É così che il regista esprime la zona d'interesse, lo spazio al di qua del muro che la separa dal campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. Dove hanno sede gli uffici delle SS, le abitazioni dei funzionari: tra queste la villa del primo comandante Rudolf Höss. Un'eco perpetuo di forni attivi e ciminiere in funzione costituisce il rumore di fondo, dal quale spiccano le voci di ordini gridati, l'abbaio di cani, colpi di sparo. A volte al continuo rimbombo si uniscono i suoni reali di parole, tonfi in piscina, spostamento di attrezzi da giardino, in un unico effetto uditivo. Con l'ascoltatore partecipe attraverso l'individuazione delle diverse provenienze. É fondamentale assistere al film in una sala cinematografica perché qui, il rimbombo angosciante, lo si avverte quasi a livello di vibrazione fisica. L'assenza di colonne sonore coprenti, cui si è di solito abituati, lascia sentire ogni minimo impatto: dallo scarto di una caramella qualche fila più avanti ai buzzer delle sonerie telefoniche peraltro silenziate: anche questa è un'esperienza! Un effetto di luce naturale, a raffigurare le lunghe giornate estive, contrasta con quella volutamente artificiale quando, di notte, una giovane partigiana polacca si avvicina clandestinamente al campo lasciando delle mele per i prigionieri: in uno sfondo sonoro meno continuo, con improvvisi sbalzi di volume. Il rimbombo di base scompare del tutto nelle scene al di fuori della zona d'interesse (come nell'ufficio di Höss interno al campo). Brevi dialoghi per lo più di futile contenuto, intervallati da momenti silenziosi, pongono in risalto l'indifferenza verso ciò che avviene poco distante. Dalle finestre della villa si vedono le torrette, i tetti dei dormitori, il comignolo del forno crematorio ma questo non induce a fermarsi; a pensare: dal comandante, il cui bisogno di riconoscimento giustifica ogni mezzo, alla moglie Edvige sempre in movimento per curare le piante, seguire i cinque figli, ricevere le amiche: tutti in quello spazio complice e al tempo stesso “protetto” da un orrore cui ognuno, a parte polacchi ed ebrei a servizio delle SS, contribuisce “banalmente” attraverso il proprio ruolo, la singola funzione. Lo stesso Höss, che aveva scelto l'applicazione di forni crematori a ciclo continuo per ottimizzarne gli esiti, poteva non aver mai assistito direttamente all'eliminazione di un ebreo. Lui è uno dei tanti che, attraverso l'organizzazione, hanno preso parte al genocidio conducendo una vita “normale”, dedita al lavoro e alla famiglia, migliorandosi economicamente. Consideriamo passiva l'apatia, ma è assolutamente attiva: chi ha finto di non guardare, di non sapere, di non vedere, è stato altrettanto colpevole. (id) La ricostruzione acustica di quello che poteva essere l'interno del lager, e ciò che si sentiva dalla villa, riflette questa ambiguità attorno al concetto di apatia: si può scegliere di non vedere ma è impossibile non sentire. Dal rimbombo di base emergevano anche le grida disperate di bambini. Per ottenere un contesto sonoro coerente Johnnie Burn, curatore del design acustico, ha dapprima registrato i suoni di fabbriche tessili, inceneritori, scarponi che marciano sul selciato, fucili d’epoca, grida umane. Successivamente ha elaborato il materiale in base alle distanze, gli effetti di riverbero, il grado di filtro su cui agivano il muro divisorio e i suoni circostanti. Nessun sottofondo musicale (a parte per una breve scena in giardino). Suoni e rumori interpretano per intero azioni che si vedono, e altre che non si vedono, proprio nel loro essere asettici: una sorta di sperimentazione acustica ad opera di Burn e della compositrice Mika Levis, interessante specie in un momento in cui l'ascolto del suono distinto svanisce nella ridondanza di musiche e informazioni diffuse. Solo nella sigla finale una scala musicale ascendente, resa drammatica dalla tonalità minore, si ripete in una melodia ossessiva: forse a descrivere la cruda realtà del campo di sterminio in contrapposizione a quella intuibile attraverso il rumore di fondo durante la pellicola. Buon ascolto e buona visione. |